Scorie - Il malessere generato dallo Stato imprenditore

Sono in molti a considerare gli anni Ottanta del secolo scorso come il decennio che ha compromesso il futuro dell'Italia. In effetti l'esplosione del debito pubblico in rapporto al Pil avvenne in quel decennio.

Per i nostalgici della monetizzazione del debito, la maledizione è da far risalire al "divorzio" tra Banca d'Italia e Tesoro, nel 1981. Io credo invece che sia stato il "matrimonio" precedente una delle cause dei malesseri successivi, e che, in assenza di quel divorzio, l'Italia avrebbe fatto la fine di alcuni Paesi africani o sudametricani, con iperinflazione e distruzione del sistema economico.

In sostanza, a inizio anni Novanta i nodi giunsero al pettine, ma credo sia errato pensare che la formazione di tali nodi sia avvenuta (solo) nel decennio precedente.

Scrive, per esempio, Simone Filippetti:

"All'inizio dell'estate del 1992, il 2 giugno, data che anni dopo, per volere del presidente Carlo Azeglio Ciampi, sarebbe diventata la Festa della Repubblica, il Royal Yacht era alla fonda al largo del porto di Civitavecchia. L'Italia era sull'orlo del baratro: stava attraversando la più grave crisi dalla Seconda guerra mondiale. Pochi giorni prima la mafia aveva ucciso con il tritolo il giudice Giovanni Falcone in un terribile attentato-spettacolo a Palermo, per far capire al mondo chi comandasse davvero nel Paese. Alcuni mesi prima, a Milano, era scoppiata Tangentopoli, che avrebbe segnato la fine di Bettino Craxi e della Prima Repubblica. En passant, il parlamento era in stallo perché non si trovava un accordo sull'elezione del presidente della Repubblica. Una ristretta cerchia di alti funzionari pubblici, civil servant e grand commis, era stata invitata a bordo dello yacht reale, dove si decise, o quantomeno si disegnò, buona parte del futuro dell'Italia: era la fine dello Stato imprenditore, che tanto bene aveva fatto nel dopoguerra, trasformando un Paese povero in uno benestante, ma che dagli anni Ottanta si era incancrenito in un misto di partitocrazia e assistenzialismo."

Tralasciando il decennio degli anni Cinquanta, in cui l'Italia uscì dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale, i problemi dello Stato imprenditore e dell'interventismo iniziarono a generarsi già con la politica economica dei governi di centrosinistra negli anni Sessanta.

I problemi, però, si manifestano sempre con un certo lag temporale. Quindi nel decennio che va dal 1960 a 1969, l'Italia registrò mediamente un tasso di crescita reale del Pil del 6.6% annuo, un deficit in media pari all'1.44% del Pil, pagando interessi sul debito pubblico pari allo 0.85% del Pil a fronte di un deflatore pari mediamente al 4.2% annuo. Il debito pubblico fu in media pari al 31.9% del Pil.

Nel decennio successivo le cose peggiorarono vistosamente. La crescita reale del Pil passò in media al 3.8%, il deficit al 6.6% del Pil, ma gli interessi, pur in crescita, si attestarono in media al 2.54% del Pil, grazie alla repressione finanziaria e alla monetizzazione del debito. Il deflatore si attestò, infatti, a una media del 14.3%. Il rapporto tra debito e Pil aumentò, attestandosi in media al 50.7%. Un solo esempio del lascito di quel decennio: le baby pensioni assegnate a persone con meno di 40 anni di età e 15-20 anni di contribuzione.

Arrivarono quindi gli anni Ottanta, in cui la crescita reale fu mediamente pari al 2.3%, il deficit aumentò a un 10.3% medio, gli interessi furono mediamente pari al 7.2% del Pil, il deflatore pari al 12.4% e il debito salì fino al 92% del Pil, per poi proseguire la corsa a inizio anni Novanta.

I numeri dicono, quindi, che i problemi iniziarono ben prima degli anni Ottanta. E lo Stato, tanto come regolatore quanto come imprenditore, ebbe un ruolo consistente nel creare quei problemi, non nel generare benessere, se non per i consumatori di tasse.

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