Scorie - Non esistono formule magiche per ridurre i debiti (pubblici)

Trovo sempre interessante leggere articoli nei quali l'autore o gli autori ritengono di aver individuato una formula magica per risolvere, o quanto meno alleviare, i problemi di finanza pubblica, senza indicare chi pagherebbe il conto.

Quando leggo questi articoli cerco sempre di adottare l'approccio alla "Ciò che si vede, ciò che non si vede" di Bastiat.

Leonardo Becchetti e Guido Cozzi propongono di utilizzare l'introduzione dell'euro digitale per ridurre i debiti pubblici senza (a loro dire) generare inflazione.

Secondo gli autori, già "prima della pandemia, con l'avvio del quantitative easing abbiamo iniziato progressivamente a sperimentare l'efficacia delle politiche espansive della Bce, la loro capacità di fronteggiare euroscetticismo e critiche nei confronti dell'Unione europea e le economie di scala che si possono creare sul fronte macroeconomico se i Paesi membri mettono a fattor comune la loro forza economica. Durante la pandemia la politica di acquisti di titoli pubblici degli Stati membri sul mercato secondario ci ha consentito di attraversare un periodo difficilissimo, beneficiando paradossalmente di risorse pubbliche mai così abbondanti (quelle messe a disposizione dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, o Pnrr) con un vincolo di condizionalità alla realizzazione di investimenti (il migliore dei mondi possibili che combina disponibilità di risorse e garanzia sul loro uso efficiente, risolvendo anche gran parte dei problemi di azzardo morale) senza che l'aumento significativo del rapporto debito/Pil, dovuto agli interventi di sostegno a famiglie e imprese, generasse alcuna ripercussione negativa sui mercati finanziari."

Se bastasse emettere debito pubblico (ancorché in parte a livello Ue) con la banca centrale pronta a monetizzarlo per avere una soluzione senza costi ai problemi economici (e non solo), evidentemente la scienza economica stessa non avrebbe ragione di esistere, dato che non esisterebbe più la scarsità dei mezzi necessari a soddisfare (potenzialmente) tutti i fini dell'umanità.

Quello che è stato fatto nell'ultimo biennio è, in scala maggiore, quello che già veniva fatto prima. Nessun problema è stato risolto, ma solo rimandato (e aggravato) mediante il doping monetario. Non a caso è già in corso il dibattito su nuove forme di imposizione fiscale europea per reperire le risorse con cui far fronte agli oneri (per quanto contenuti) delle emissioni di debito con cui è finanziato il NGEU. Superfluo ricordare che saranno i pagatori di tasse europei a sopportare l'onere. Come sempre avviene in questi casi, qualcuno sarà consumatore di tasse, e qualcun altro pagatore. Nelle "soluzioni magiche" i pagatori o non esistono o sono gli altri.

Proseguono Becchetti e Cozzi:

"Di fatto la detenzione da parte della banca centrale di una quota significativa del debito pubblico dei Paesi membri e l'impegno a riacquistarlo a scadenza corrisponde a una riduzione del debito pubblico e del suo onere. I timori che gli acquisti della Bce potessero creare tensioni inflazionistiche sono stati fugati prima dello scoppio della guerra in Ucraina dalla severità delle politiche regolatorie e dalla propensione delle banche a trasformare solo parte della moneta in eccesso in prestiti bancari. La questione essenziale che si pone oggi è se tali politiche possano continuare in presenza di un'inflazione che, come stiamo sperimentando, ha rialzato la testa principalmente a causa dell'aumento del prezzo dell'energia da fonti fossili (petrolio e gas) che ha anticipato e seguito l'invasione dell'Ucraina."

A onor del vero l'inflazione monetaria aveva già generato inflazione nei prezzi delle attività finanziarie, degli immobili e delle materie prime negli anni scorsi; anche i prezzi al consumo crescevano già ben oltre il 2% annuo prima dell'invasione dell'Ucraina da parte della Russia.

Tuttavia, per Becchetti e Cozzi esiste "una via per continuare le politiche espansive senza alimentare le suddette tensioni inflazionistiche, approfittando di un evento straordinario come quello della prossima nascita dell'euro digitale."

L'euro digitale "potrebbe permettere di "neutralizzare" una parte rilevante del debito pubblico della zona euro senza generare alcuna spinta inflattiva."

Il tutto a condizione che sia "sottoposto al 100% di riserva obbligatoria". In sostanza, i depositi di euro digitali presso le banche commerciali dovrebbero essere semplicemente custoditi e non utilizzati in regime di riserva frazionaria.

Ben venga un obbligo di riserva al 100%. Mi limito a osservare che nulla vieterebbe di imporlo anche senza l'introduzione dell'euro digitale.

Soprattutto, come farebbe a essere ridotto il debito pubblico? Chi pagherebbe il conto?

Becchetti e Cozzi segnalano che dopo la crisi post default di Lehman, il moltiplicatore monetario si è attestato attorno a 3 (prima era il triplo), ossia per ogni euro di base monetaria emessa dalla banca centrale le banche hanno concesso 3 euro di crediti in regime di riserva frazionaria.

Siccome la BCE ha accumulato nell'ambito dei vari programmi di QE circa il 25% del debito pubblico dell'eurozona, secondo gli autori la loro proposta (dato un moltiplicatore pari a 3) "offrirebbe una possibilità straordinaria e irripetibile di cancellare fino a circa il 75% del debito pubblico della zona euro senza creare nuova moneta."

E come?

"Supponiamo che la Bce venda tutti i titoli di debito pubblico in suo possesso, al momento circa il 25% del debito complessivo dei governi della zona euro. Facendolo, toglierebbe al mercato un uguale ammontare di base monetaria, potenzialmente riducendo la quantità di moneta presente nel sistema – inclusiva di moneta legale e depositi bancari – di circa tre volte tale ammontare per via del moltiplicatore dei depositi. Successivamente, supponiamo che la Bce acquisti il 75% del debito in circolazione, pagandolo in euro digitale. Il risultato sarebbe un'immissione di liquidità pari a quella tolta con la prima operazione per via del fatto che questa nuova emissione di euro digitale non sarebbe la base della piramide dei depositi e dunque non porterebbe le banche a creare nuova moneta bancaria aggiuntiva. Il combinato disposto di questa operazione di mercato aperto non comporterebbe alcun aumento persistente della massa monetaria in circolazione nella zona euro, triplicando allo stesso tempo la quota di debito pubblico nelle mani della Bce. Il risultato sarebbe quello di sterilizzare l'effetto potenzialmente inflattivo di una manovra che ridurrebbe di fatto il debito a un quarto di quello nominale."

Becchetti e Cozzi aggiungono che la proposta "avrebbe come ulteriore beneficio quello di liberare le nostre banche da una quota eccessiva di titoli di Stato in portafoglio, con conseguente riduzione di un rischio di doom loop, ovvero di volatilità e rischio connesso al debito pubblico che si trasforma in volatilità e rischio degli asset bancari visto che l'euro digitale ottenuto in cambio dei titoli ceduti alla banca centrale è immune da tali fluttuazioni."

Ed ecco la conclusione:

"I benefici delle politiche monetarie espansive sono sotto gli occhi di tutti. Ci hanno consentito di attraversare la congiuntura più difficile dal secondo dopoguerra, rafforzando e non indebolendo l'Unione europea, generando risorse pubbliche in un momento difficilissimo e di estremo bisogno. La rinascita dell'inflazione mette a rischio queste politiche. Speriamo che la nostra proposta possa essere utile e generativa nel dibattito oggi fondamentale su come renderle possibili nel contesto mutato senza alimentare ulteriormente le spinte inflattive."

Partendo dalla fine, nessuno è stato ancora in grado di dimostrare (perché impossibile) che una crescita generalizzata dei prezzi sia possibile in assenza di una precedente politica monetaria espansiva. I benefici delle politiche monetarie espansive sono solo un lato della medaglia, per via dell'effetto Cantillon. Indubbiamente chi riceve per primo i flussi di nuova moneta trae benefici. Ma il conto lo pagano gli altri, anche se si vede di meno, per di più con effetti non immediati da un punto di vista temporale.

Ma supponiamo pure di dare luogo all'esperimento, che, vale la pena ripeterlo, potrebbe essere condotto a prescindere dall'introduzione dell'euro digitale. Alla fine delle operazioni, la BCE deterrebbe il triplo del debito pubblico attuale, ossia il 75%.

L'operazione comporterebbe la trasformazione di un ammontare pari al 50% del debito pubblico dell'eurozona da moneta di banca commerciale (ossia quella emessa dalle banche sottoforma depositi nell'ambito delle operazioni di credito in regime di riserva frazionaria) a moneta di banca centrale (ossia base monetaria), sottoposta però a vincolo di riserva al 100%.

Non serve essere un bambino prodigio per concludere che quel 50% di debito pubblico in più acquistato dalla BCE corrisponderebbe a una riduzione di pari ammontare del credito ai privati.

Qualunque cosa si pensi sul merito dell'operazione, è evidente che non sarebbe indolore una contrazione del credito di tale ammontare. L'aumento delle insolvenze sarebbe inevitabile. Si tenga presente che vari governi, parallelamente ai lockdown, hanno concesso garanzie sui crediti bancari ai privati per importi che coprivano tra l'80 e il 100% dell'ammontare. In caso di insolvenza, quello diventerebbe debito pubblico (anche se si escogitassero artifici contabili per considerarlo in modo diverso).

Come si vede, anche senza approfondire troppo l'analisi, resta sempre vero che non esistono pasti gratis. Quando si avanza una proposta per risolvere un problema, sarebbe opportuno indicare chi dovrebbe pagare il conto.

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