Scorie - Gerarchia delle idee

Lo sviluppo di internet e dei social network hanno impresso una forte accelerazione all'aumento delle fonti di informazione disponibili a tutti. Questo, come è noto, ha spiazzato i media tradizionali e soprattutto gli intellettuali, che in precedenza rappresentavano il punto di riferimento per trasmettere informazioni e conoscenze al pubblico.

Del tema si occupa Giuseppe Lupo sul Sole 24 Ore, con un articolo che inizia così:

"Potrà sembrare un'enorme contraddizione se si pensa alle traiettorie che il pensiero occidentale ha percorso negli ultimi sei secoli, eppure dopo i primi vent'anni del nuovo millennio, si avverte impellente la necessità di ripristinare quell'autorità culturale che l'affermarsi del moderno aveva contribuito a demolire, almeno nei principi. Per fortuna la contraddizione è solo apparente. L'Umanesimo aveva ingaggiato la sua battaglia contro una scienza che si limitava a essere solo dottrina senza verifiche ed esperimenti, una scienza per sentito dire, per citazioni, obsoleta agli occhi di un mondo che invece aveva fatto del dubbio il proprio vessillo. Ciò non significa però che al vecchio paradigma conoscitivo (aristotelico) non bisognasse sostituirne uno nuovo (cartesiano): operazione di fatto avvenuta con infiniti vantaggi, ma anche con il sospetto di un certo rischio. Il metodo da cui avevano preso avvio le forme epistemologiche del sapere – il procedimento basato sul dubbio – di recente potrebbe avere imboccato una traiettoria che, declinata nelle maniere più estreme, si rivela una tanto clamorosa quanto insidiosa deriva che agisce nel profondo, carica di forza corrosiva, giungendo a modificare (e a minare per sempre) ogni tipo di autorevolezza che sia figlia di una competenza. Qui ora entrano in gioco le variabili del tempo che stiamo vivendo. Il principio di diffidenza, su cui da almeno seicento anni si fonda il nostro patrimonio identitario, avvolge così tanto il presente – e lo condiziona, lo rende impermeabile a ogni tipo di elaborazione critico-interpretativa, ne fa addirittura un monumento alla presunta libertà del pensiero – che da più parti ormai si invoca il bisogno di ripristinare quella (perduta) verticalità nei rapporti tra chi conosce e chi no. La pandemia ha accelerato tale necessità proprio perché ha messo tragicamente a nudo un ventaglio di fragilità da cui a torto ci si riteneva immuni, svelando la debole impalcatura su cui si basa il traffico di informazioni – la rete, i social, le community – che hanno soppiantato le tradizionali istituzioni culturali, a cominciare dalla figura stessa degli intellettuali. Più che domandarsi se non si siano estinti, occorrerebbe chiedersi se la loro sia una voce ancora ascoltabile."

Lupo, al pari di tutti gli intellettuali di professione, lamenta il fatto che la gerarchia delle fonti del sapere non sia più codificata dagli intellettuali stessi, ma sia stabilita da ogni individuo. Per questo, "si dovrebbe invertire subito la rotta, fuggire da tutto ciò che continua a far coincidere la nozione di conoscenza con questa linea dell'orizzontalità. L'argomento ha caratteri di urgenza."

L'argomento è indubbiamente delicato, perché se è fuori dubbio che la proliferazione delle voci porti con se anche la diffusione di una grande quantità di sciocchezze, è altrettanto vero che limitare la libertà di ogni individuo di scegliere chi ascoltare può portare a censurare anche le voci di chi non dice sciocchezze, ma semplicemente non è allineato al mainstream, pur avendo competenze nella materia di cui si occupa. Un problema tra l'altro da sempre presente nel mondo accademico, soprattutto quando si è ai confini della politica.

Lupo riconosce il problema.

"Nessuno intende negare la libertà di avere opinioni o di formarsene ricorrendo a qualsiasi strumento di informazione, anche i più originali e controcorrente, ma non si può dimenticare che autorità e autorevolezza non sono la medesima cosa, che le competenze acquisite determinano una gerarchia di voci all'interno della quale selezionare la più affidabile, la più credibile, la più efficace per sconfiggere l'"infodemia"."

A me pare che proprio arrogarsi il diritto di stabilire una gerarchia delle voci porti inevitabilmente a censurare non solo i diffusori di autentiche stupidaggini, bensì a mettere il bavaglio a chi semplicemente non è allineato al mainstream. Proprio nell'ultimo biennio, quando il termine "infodemia" è stato coniato in relazione alle informazioni accusate di fuoriviare il pubblico in merito alla pandemia, questo problema è stato evidente.

Prosegue Lupo:

"Mai come ora diventa credibile l'ipotesi non tanto di restaurare il principio di cieca obbedienza, ma il dovere di contrastare quel diffusissimo atteggiamento che Brevini definisce "iperegualitarismo": un termine che fa rima con "iperindividualismo", cioè conquista di una soggettività a cui nessuno intende rinunciare, anzi se ne fa vanto."

A mio parere, tra il rischio che si diffondano idee fuorvianti e quello di stabilire una sorta di fattoria delle idee, dove alcune, parafrasando Orwell, sono più uguali delle altre semplicemente perché così si è stabilito dall'alto, il primo è nettamente preferibile.

Per decenni la frustrazione degli intellettuali (o almeno di una parte di essi) si è manifestata nel disprezzo di quegli imprenditori che, sovente senza titoli di studio, erano riusciti a sviluppare aziende di successo e si erano arricchiti. Costoro lo hanno fatto perché hanno offerto meglio di altri ciò che i consumatori hanno scelto, volontariamente.

Adesso è il turno delle idee. Credo che gli intellettuali farebbero meglio a chiedersi come fare per rendere meglio comprensibili le proprie idee, piuttosto che invocare una sorta di riserva, il cui lato ppposto della medaglia assomiglia molto alla censura.
 

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