Scorie - L'avvocato del (peggio) popolo

Milano Finanza ha intervistato Giuseppe Conte, presidente di quel che resta (a mio parere sempre troppo) del M5S.

Come è noto, il suo è uno del partiti (praticamente tutti) che un giorno sì e l'altro pure dichiarano essere "inevitabile uno scostamento di bilancio". Nessuno dubita che, tra pandemia e guerra in Ucraina, i problemi non finiscano mai. Tuttavia, la leggerezza con cui si invoca di fare nuovo deficit per decine di miliardi, come se nessuno dovesse mai essere chiamato a pagare il conto, è allucinante.

Alla base di tutto, c'è una visione fortemente statalista, che rende poi il deficit inevitabile. Secondo Conte, lo Stato "deve essere presente quando serve, soprattutto al fine di tutelare gli asset strategici del Paese. Più in generale, deve riappropriarsi della capacità di orientare il mercato per perseguire gli interessi collettivi, coinvolgendo naturalmente i privati. Il mercato come garanzia dell'equilibrio perfetto è solo un mito, come dimostrano le crisi del 2008 e del 2011."

In questa affermazione c'è l'essenza della visione del rapporto tra Stato e mercato di gran parte dell'offerta politica italiana. Una visione che, ancorché quasi tutti si dicano antifascisti, è invece sostanzialmente erede del corporativismo del Ventennio.

Con la scusa della tutela degli asset strategici, si pretende di stabilire chi possa assumere il controllo di società quotate in Borsa, utilizzando quel Golden Power che ormai porta a considerare strategica qualsiasi impresa che politicamente convenga ritenere tale in un determinato periodo. Poi ci si lamenta se l'Italia (non solo per questo, peraltro) non attrae molti investimenti dall'estero.

Quanto al mito dell'equilibrio perfetto, effetivamente lo è. Ma solo chi non ha idea di cosa sia realmente il mercato può utilizzare questo stereotipo. Premesso che l'equilibrio statico a cui si fa riferimento non è compatibile con il concetto stesso di mercato - perché in uno stato di equilibrio non avrebbero senso gli scambi, ma senza scambi non ha senso parlare di mercato - additare il mercato per quanto successo nel 2008 o nel 2011 significa incolpare il termometro quando segnala la temperatura a 40 gradi. Non il modo migliore per curare la febbre, men che meno per prevenirla.

Ritenere, ancorché implicitamente, che in quei due periodi il mercato operasse in totale assenza di regole e interventi delle autorità fiscali e monetarie è semplicemente non corripondente al vero.

Ma le perle stataliste di Conte sono anche altre. Per esempio il ritorno di Autostrade allo Stato, tramite l'immancabile CDP. Oppure, sempre tramite CDP, l'ingresso in Euronext, che controlla Borsa Italiana, e in Sia-Nexi nei sistemi di pagamento.

E per far fronte ai problemi dei rincari dell'energia, serve "un deciso salto avanti verso un Recovery dell'energia". Ovviamente vendendo l'illusione che sia possibile scaricare altrove i costi, chiamando l'Europa a essere "solidale nel sostegno ai Paesi UE più esposti in termini di dipendenza dal gas russo."

Da notare che il M5S è il più convinto avversario di qualsiasi utilizzo del gas che giace nel sottosuolo italiano e che, se la sua ferma opposizione al TAP avesse avuto successo, la dipendenza dal gas russo sarebbe ancora peggiore. Ma il pudore non è evidentemente tra i requisiti per fare l'avvocato del popolo.

Last, but not least, nella corsa alla prosperità a mezzo debito, Conte afferma di avere "in mente un piano di social bond per investire le risorse nelle parti più fragili del nostro tessuto economico produttivo. E' uno strumento importante che consider agli impatti socieli e ambientali degli invstimenti, oltre al ritorno economico".

Ora, questo tipo di bond a livello privato esiste già, quindi il piano a cui pensa Conte suppongo sarebbe statale. A suo parere sarebbe un modo per favorire l'investimento delle somme ora depositate sui conti correnti. In ultima analisi, si tratterebbe pur sempre di titoli di debito pubblico, i cui proventi già oggi chiunque sia al governo sostiene siano utilizzati a scopi sociali. 

Apporre una nuova etichetta non cambierebbe la sostanza, se non in peggio, relegando ancora più in secondo o terzo piano l'economicità degli investimenti da finanziare con il denaro raccolto.

Leggo queste interviste, e mi convinco sempre più che al peggio non ci sia davvere mai limite.


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