Scorie - Oltre al danno c'è sempre anche la beffa

La tassazione rappresenta una violazione del principio di non aggressione da parte del soggetto tassatore nei confornti del tassato. Affidare allo stesso legislatore che definisce la normativa fiscale anche la "tutela" dei diritti del contribuente è quindi come nominare Nerone a capo dei vigili del fuoco di Roma.

Eppure è quanto avvenuto una ventina di anni fa con la legge 27 luglio 2000, numero 212, meglio nota come Statuto dei diritti del contribuente. Lo scopo dichiarato era quello di porre dei limiti alle pratiche con cui il fisco, nel pretendere denaro dai pagatori di tasse, rendeva la vita di costoro particolarmente dura per adempiere a tali prestazioni.

Tra tutte, la pratica che si voleva eliminare era quella di introdurre provvedimenti (ovviamente negativi per il pagatore di tasse) con efficacia retroattiva. Una usanza piuttosto diffusa in Italia, il che ha contribuito a limitare gli investimenti domestici e a tenere alla larga gli investitori stranieri dal Paese, se non dotati di eccezionale soicismo.

Nei suoi due decenni di vita lo Statuto è stato, come era prevedibile, più volte disatteso, praticamente ogni anno. Perché quando lo Stato ha bisogno di soldi, non va troppo per il sottile.

L'ultimo esempio di peggioramento della legislazione fiscale con effetto retroattivo è contenuto nel progetto di legge di bilancio, che introduce una modifica a una disposizione della legge di bilancio dello scorso anno, con cui era concessa la possibilità di rivalutare le partecipazioni e i beni d'impresa, inclusi avviamenti e altre attività immateriali, versando una imposta sostitutiva con aliquota 3%. Era poi prevista una deduzione in diciottesimi degli importi derivanti da riallimeamento.

Il problema è che la stima delle minori entrate connesse al provvedimento (14 milioni) si è rivelata di gran lunga inferiore all'impatto reale (circa 80 miliardi). Ecco quindi la soluzione: se si vuole mantenere la deduzione in diciottesimi, si deve integrare l'imposta sostitutiva (ossia dare altri soldi allo Stato). In alternativa si deve ammortizzare in cinquantesimi, oppure si può rinunciare alla rivalutazione.

Ci sono quindi tre possibilità, ognuna delle quali comporta nuovi oneri per i soggetti che si sono avvalsi della facoltà introdotta dalla scorsa legge di bilancio.

Nel primo caso, costoro devono pagare più tasse. Nel secondo caso, potrebbero avere non pochi problemi a dimostrare la recuerabilità delle imposte anticipate (per cui serve la previsione di produrre redditi capienti) su un orizzonte di mezzo secolo. Nel terzo caso, devono comunque sostenere gli oneri connessi alla modifica del bilancio 2020. Il tutto dopo avere speso soldi in consulenze per procedere alla rivalutazione.

Con buona pace dello Statuto dei diritti die contribuenti, quando a sbagliare è lo Stato a pagare sono sempre gli stessi. Giusto per ricordare che al danno, in questi casi, si aggiunge sempre anche la beffa.

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