Scorie - Gli indiani non stavano meglio quando erano più socialisti

Il World Inequality Lab, di cui è condirettore l'economista (ma sarebbe meglio dire: ecomunista) Thomas Piketty, ha rilevato in un recente studio un aumento della disuguaglianza in India.

A partire da inizio anni 90, quando la politica indiana ha promosso (pur rimanendo piuttosto incrostata di socialismo) qualche forma di liberalizzazione dell'economia, è aumentata la quota di reddito del 10% più ricco della popolazione, raggiungendo il 57,7% del totale. Il tutto mentre circa 800 milioni di indiani sopravvivono grazie ai 5 chili di riso regalati mensilmente dallo Stato (ovviamente pagato dalle tasse anche dei ricchi di cui sopra).

E dire che ai (bei tempi?) del socialismo indiano, dopo l'indipendenza del 1947 e fino agli anni 80 del secolo scorso, le disuguaglianza si erano talmente ridotte che l'1% più ricco aveva appena il 6% del reddito complessivo.

Il che, però, non dovrebbe far altro che confermare che, se qualcosa può essere migliorato (e ciò può essere difficillmente dubitato), la strada da seguire non dovrebbe certo essere quella di un nuovo incremento del tasso di socialismo. Perché è pur vero che allora erano tutti più uguali, ma la media di Pil pro capite era sotto i 300 dollari, contro gli oltre (pur sempre pochi) 2500 attuali.

Tutto ciò non dovrebbe peraltro stupire, dato che non è nulla di dissimile da quanto sperimentato in tutti gli altri paradisi socialisti passati e (ahimè) presenti.

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