Scorie - Al netto degli interessi il debito sarebbe (forse) calato. E allora?
Da anni Marco Fortis si esercita nel cercare di presentare i numeri della finanza pubblica italiana meno brutti di quello che sono, ritenendo che la percezione, soprattutto a nord delle Alpi, sia troppo negativa.
Devo dire che, soprattutto quando il paragone riguarda la Francia, in effetti l'evoluzione in termini relativi dell'ultimo decennio fa sembrare anche a me che gli OAT siano sopravvalutati rispetto ai BTP, ma tant'è.
Gli argomenti di Fortis, però, non sono particolarmente convincenti. Il più ricorrente, che lo accomuna a tanti altro commentatori a sud delle Alpi, riguarda la persistenza di avanzi primari, soprattutto fino alla pandemia.
Fortis ricorda che "l'Italia il proprio debito pubblico l'ha visto esplodere negli anni Ottanta e nei primi anni Novanta. Poi, però, è diventata un Paese quasi-modello quanto a gestione delle finanze pubbliche, con un surplus primario del bilancio statale pressoché ininterrotto fino alla pandemia. E anche dal 2020 in poi, quando il bilancio primario è andato in rosso, il debito italiano è comunque quello cresciuto di meno in valore escludendo gli interessi, come abbiamo già avuto modo di documentare su queste colonne (Francia, il debito pubblico supera quello italiano di 244 miliardi di euro, 1° febbraio 2024)."
Sottolinea poi che "l'Italia è l'unica nazione tra i Paesi del G7, e anche rispetto ad un'altra grande economia dell'Eurozona come la Spagna, ad essere riuscita a ridurre il debito pubblico al netto della spesa per interessi negli ultimi 28 anni, secondo nostre elaborazioni sulle serie storiche della Commissione Europea. Si tratta di un dato praticamente sconosciuto, la cui acquisizione, sul piano concettuale e comunicazionale, è di fondamentale importanza sia per l'Italia sia per le stesse riflessioni sul futuro e le strategie dell'Europa. Infatti, la componente di debito pubblico non dipendente dagli interessi è diminuita in Italia di ben 317 miliardi di euro correnti dal 1996 al 2023, prendendo come riferimento il 1995, anno di partenza delle serie storiche della Commissione europea. Un dato che dovrebbe essere portato all'attenzione non solo di Bruxelles ma anche delle agenzie di rating e degli investitori. Nello stesso periodo, il debito al netto degli interessi della Germania, il Paese che dopo di noi ha fatto meglio, sia pure a grande distanza, è cresciuto di 95 miliardi. Mentre le altre maggiori economie avanzate hanno invece visto esplodere i loro debiti pubblici, sempre espressi in euro, anche depurando la componente degli interessi. Infatti, il debito pubblico, esclusi gli interessi della Spagna, è aumentato dal 1996 al 2023 di 570 miliardi, quello britannico di 889 miliardi, quello francese di 1.108 miliardi, quello giapponese di 3.638 miliardi e quello statunitense di 12.027 miliardi."
Questo spiegherebbe anche "perché l'Italia, perlomeno fino al 2015, abbia avuto nei vent'anni precedenti una crescita economica molto più debole delle altre nazioni. Infatti, dovrebbe essere evidente il fatto che il nostro Paese, non facendo più debito pubblico al netto degli interessi, anzi riducendolo, in tal modo ha drasticamente ridotto l'immissione di risorse pubbliche nel suo sistema economico in termini di investimenti in capitale fisico e umano, oltre che in termini di sostegno ai redditi, mentre gli altri Paesi pompavano denaro a piene mani a spese dei contribuenti a supporto della loro crescita."
Di qui la conclusione che "il debito pubblico italiano non può essere preso come giustificazione da parte dei Paesi del Nord Europa ostili agli Eurobond. Questi ultimi costituiscono l'unica strategia possibile per una Europa che perde sempre più competitività ogni giorno, stretta nella morsa di due giganti come Cina e Stati Uniti."
Il problema è che gli interessi esistono e sono alti perché alto è il debito sui cui vanno pagati, e anche perché sostanzialmente nello stesso arco temporale preso in considerazione da Fortis l'Italia ha sperimentato un effetto palla di neve, con la crescita nominale del Pil inferiore al costo del debito, con conseguente tendenza endogena all'incremento del rapporto tra debito e Pil.
E non è neppure detto, non essendoci il controfatuale, che se l'Italia non avesse dovuto pagare interessi alti non avrebbe speso malamente quei soldi, anno Ottanta style. Perché va ricordato che non fu un ravvedimento dei governi a generare quello che ricorda Fortis (e ogni pagatore di tasse), bensì aver visto il default a un millimetro.
D'altra parte, se qualcuno chiede un prestito non ha molto senso aspettarsi che chi deve valutare se concederglielo e a quali condizioni farlo non tenga conto del debito già accumulato. Né non giova al richiedente sottolineare che, da un certo punto in poi, il debito è aumentato per via degli interessi, perché significa che è sostanzialmente uno zombie finanziario.
In definitiva, dubito che chi finora non ha voluto mettere in comune il debito con l'Italia cambierà idea sulla base dei dati esposti da Fortis.
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