Scorie - Quelli che il deficit non è mai abbastanza

In occasione della redaizone della Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza, il governo ha rivisto al rialzo le stime di crescita del Pil del 2021 (dal 4.5% al 6%) e al ribasso quelle su deficit (da 11.8% a 9.4%) e debito pubblico (da 159.8% a 153.5%) in rapporto al Pil.

Si tratta pur sempre di deficit e debito significativi, ma la pattuglia dei keynesiani più incalliti ha subito alzato il dito per denunciare la scelta di Draghi e del ministro dell'Economia Daniele Franco di non approfittare della crescita maggiore del previsto per fare più spesa pubblica, ovviamente per investimenti, confermando un deficit all'11.8% del Pil.

Per esempio, secondo Gustavo Piga "tutte le statistiche internazionali ci ricordano del nostro ritardo nel rilancio post-Covid: a fronte (recenti stime Ocse) di un mondo che vede una crescita a fine 2022 del 6,8% rispetto al livello del Pil 2019 (pre-Covid), trascinata dalla prorompente ripresa statunitense (+6,5% grazie alle politiche fiscali veramente espansive di Biden) e rallentata da quella di un'area euro ancora timida (+3,4%), l'Italia è maglia nera con un livello del +1,1 per cento. Responsabile di questa performance così debole nel tempo non può che essere l'anomala richiesta al nostro Paese di adottare, a partire del 2022, una restrizione di bilancio senza precedenti, approvata appunto dall'ultimo Def di aprile e dall'Unione europea. Essa prevedeva che, a fronte di un (quanto mai necessario) ampliamento del deficit su Pil 2021 previsto all'11,8% per aiutare la nostra economia colpita dalla seconda ondata di Covid, ci si dovesse legare a una brusca e immediata riduzione di questo, per il 2022, al 5,9 per cento. Si tratta di ben 120 miliardi in un anno di minori spese pubbliche e maggiori entrate fiscali che non potevano fare altro che minare ogni qualsiasi velleità di ripresa simile a quella di altri Paesi come il nostro duramente impattati dalla pandemia come la Spagna, a cui non è stata richiesta analoga austerità. E, in parallelo, il Def conteneva una promessa di raggiungere al 2024 un deficit-Pil del 3% (3,4% per essere precisi), una soglia gradita ai falchi europei, simbolo iconico mai svanito dell'antico patto austero chiamato Fiscal compact."

Quindi un ipotetico (perché ancora da realizzare) minore ricorso al deficit nel 2022 penalizzerebbe l'Italia. Questo argomento è un classico: il deficit come via alla crescita economica. Un'idea molto diffusa a sud delle Alpi, senza che chi la sostiene si senta mai (né gli sia richiesto, peraltro) di spiegare come mai, essendo l'Italia una campionessa di deficit (soprattutto in passato), il risultato sia stato così deludente in termini di crescita economica, mentre il debito sia da decenni il più alto di tutta l'Eurozona in rapporto al Pil, con l'esclusione della Grecia.

Piga si prepara già per un futuro "l'avevo detto": "se l'inattesa crescita al 6% ha portato la stima di quest'ultimo per il 2021 a ridursi dal 159,8% di aprile al 153,5% di ottobre, possiamo immaginare quale sarebbe stato il potere taumaturgico sul debito di un'ulteriore spesa virtuosa in investimenti, volta a farci crescere come gli altri Paesi europei?"

E invece niente, e così "mantenendo immutato il target 2024 del deficit al 3,3%, è stata una volta ad anticipare l'austerità dal 2022 al 2021 e con essa il percorso di rientro fiscale di un anno. Ne ha risentito anche la crescita economica prevista per il 2022, che dal 4,8% di aprile è scesa di un punto decimale."

Considerando che la base di partenza del Pil 2021 sarà più alta del previsto, un decimale in meno di previsione per il 2022 non pare segno di particolare austerità. Non per Piga, evidentemente, secondo il quale Draghi "avrebbe potuto argomentare con successo, ne siamo certi, che sarebbe stato bene non solo confermare il deficit su Pil italiano del 2021 all'11,8 del Pil, ma anche che la sua riduzione al 2024 avrebbe dovuto essere stata ridotta, al 6% per esempio e non al 3%, permettendo di mettere l'Italia e dunque l'Europa in sicurezza per il tramite della nostra addizionale crescita economica."

Per chiunque voglia farsi un'idea di quale sarà il tenore del dibattito sulla finanza pubblica nei prossimi mesi, questo è un assaggio.

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