Scorie - L'irrigatore
"Il problema con queste due misure – l'aumento del deficit e il torchio
(fisico o elettronico) della moneta – è che hanno sempre destato istintive
diffidenze: sembrano cose troppo facili, fughe irresponsabili e pericolose
dai principi della buona amministrazione. Ma è una nomea non meritata:
escluderle per principio dal novero delle misure possibili sarebbe
altrettanto goffo quanto rifiutare, durante una siccità nei campi, di
aprire i canali di irrigazione per paura di causare inondazioni."
(F.Galimberti)
Da buon difensore delle politiche keynesiane, Fabrizio Galimberti cerca di
convincere i lettori che avessero (a mio parere più che comprensibili)
"istintive diffidenze" che si sbagliano e che, in realtà, "escludere per
principio" il deficit spending finanziato dalla creazione di denaro dal
nulla sarebbe "goffo quanto rifiutare, durante una siccità nei campi, di
aprire i canali di irrigazione per paura di causare inondazioni".
A prima vista qualcuno le cui diffidenze fossero solo "istintive" potrebbe
trovare convincenti le parole di Galimberti. A mio parere, invece, la
siccità nei campi non c'entra un bel nulla con l'irrigazione della spesa
pubblica mediante stampa di denaro.
In primo luogo l'acqua è presente in natura, non è un prodotto artificiale.
In secondo luogo, l'economia non si trova mai realmente a corto di moneta,
a differenza di un appezzamento di terreno bisognoso di irrigazione. L'idea
che la quantità di moneta debba crescere in misura più o meno costante
durante le fasi positive del ciclo economico e debba addirittura essere
incrementata senza troppe remore durante le fasi recessive è un errore che
accomuna (per lo più) monetaristi e keynesiani, ma che non ha senso
economico, se si guarda ai dati reali e non a quelli nominali.
Se i prezzi – tutti i prezzi – fossero liberi di oscillare in base al solo
andamento della domanda e dell'offerta, senza essere distorti da fattori
esogeni (tipicamente provvedimenti normativi e regolamentari), il mercato
non avrebbe alcun bisogno di essere "irrigato" da liquidità creata dal
nulla.
Galimberti, però, associa l'utilizzo della stampa di moneta al
finanziamento della spesa pubblica, per contenere il costo del
finanziamento del deficit, a suo parere necessari quando la domanda privata
è carente. Da questo punto di vista, va segnalato che i più radicali
risolverebbero (si fa per dire) il problema prevedendo per legge la
monetizzazione della spesa pubblica, evitando allo Stato di contrare debiti
per finanziare la spesa in deficit. Questo i keynesiani "mainstream" come
Galimberti lo ritengono sconsigliabile. In altri termini, in questo caso
anche loro sono colti da "diffidenze" più o meno istintive.
Perché, dunque, qualcuno insiste nell'esprimere contrarietà alla creazione
(ancorché "moderata", ovviamente secondo gradi di moderazione soggettivi)
di denaro dal nulla e al deficit spending? Detto in estrema sintesi, perché
le "diffidenze" che per qualcuno sono istintive, lo dovrebbero essere anche
ragionando guidati dal buon senso.
Se la quantità di moneta viene aumentata non vi è alcuna variazione nella
ricchezza (beni e servizi) reale. Semplicemente la ricchezza reale
esistente viene redistribuita a vantaggio dei primi percettori del denaro
di nuova creazione e a svantaggio di chi quei soldi non li vedrà mai. Se
così non fosse, è evidente che nessuno dovrebbe fare alcuno sforzo per
produrre ricchezza e potremmo vivere tutti quanti nella bambagia (e
purtroppo c'è anche chi crede che ciò sarebbe possibile).
Anche la spesa pubblica finanziata in deficit non fa altro che
redistribuire ricchezza presente o futura (se una parte del deficit viene
prima o poi coperta da un aumento delle tasse). Finanziare il deficit
creando denaro non fa altro che sostituire la tassazione esplicita con
quella implicita (e probabilmente ancor più detestabile) dell'inflazione.
Lo stesso Keynes, in fin dei conti, già nei primi capitoli della Teoria
Generale indicava nella confusione tra salari nominali (quelli sui quali si
concentrerebbero i percettori) e salari reali la chiave di volta per
superare le resistenze a una diminuzione dei salari nominali.
Detto che questa impostazione è viziata, come tante altre della
macroeconomia, dalla considerazione di dati aggregati che eliminano
artificialmente le peculiarità che si possono cogliere solo con un'analisi
microeconomica, alla fine la presunta soluzione consisterebbe nell'ottenere
con l'inganno ciò che non si riesce (agevolmente) a ottenere con la
contrattazione.
A parte il fatto che un raggiro del genere può funzionare solo a breve
termine e un suo proseguimento porta inevitabilmente a livelli di
inflazione crescenti, l'idea stessa a me pare del tutto inaccettabile.
Eppure chi nutre anche solo "istintive diffidenze" è tacciato di essere
goffo, come chi non apre i canali di irrigazione durante la siccità per
paura delle inondazioni. Considerando chi manovra le chiuse le diffidenze
sono ben motivate, a mio parere.
(fisico o elettronico) della moneta – è che hanno sempre destato istintive
diffidenze: sembrano cose troppo facili, fughe irresponsabili e pericolose
dai principi della buona amministrazione. Ma è una nomea non meritata:
escluderle per principio dal novero delle misure possibili sarebbe
altrettanto goffo quanto rifiutare, durante una siccità nei campi, di
aprire i canali di irrigazione per paura di causare inondazioni."
(F.Galimberti)
Da buon difensore delle politiche keynesiane, Fabrizio Galimberti cerca di
convincere i lettori che avessero (a mio parere più che comprensibili)
"istintive diffidenze" che si sbagliano e che, in realtà, "escludere per
principio" il deficit spending finanziato dalla creazione di denaro dal
nulla sarebbe "goffo quanto rifiutare, durante una siccità nei campi, di
aprire i canali di irrigazione per paura di causare inondazioni".
A prima vista qualcuno le cui diffidenze fossero solo "istintive" potrebbe
trovare convincenti le parole di Galimberti. A mio parere, invece, la
siccità nei campi non c'entra un bel nulla con l'irrigazione della spesa
pubblica mediante stampa di denaro.
In primo luogo l'acqua è presente in natura, non è un prodotto artificiale.
In secondo luogo, l'economia non si trova mai realmente a corto di moneta,
a differenza di un appezzamento di terreno bisognoso di irrigazione. L'idea
che la quantità di moneta debba crescere in misura più o meno costante
durante le fasi positive del ciclo economico e debba addirittura essere
incrementata senza troppe remore durante le fasi recessive è un errore che
accomuna (per lo più) monetaristi e keynesiani, ma che non ha senso
economico, se si guarda ai dati reali e non a quelli nominali.
Se i prezzi – tutti i prezzi – fossero liberi di oscillare in base al solo
andamento della domanda e dell'offerta, senza essere distorti da fattori
esogeni (tipicamente provvedimenti normativi e regolamentari), il mercato
non avrebbe alcun bisogno di essere "irrigato" da liquidità creata dal
nulla.
Galimberti, però, associa l'utilizzo della stampa di moneta al
finanziamento della spesa pubblica, per contenere il costo del
finanziamento del deficit, a suo parere necessari quando la domanda privata
è carente. Da questo punto di vista, va segnalato che i più radicali
risolverebbero (si fa per dire) il problema prevedendo per legge la
monetizzazione della spesa pubblica, evitando allo Stato di contrare debiti
per finanziare la spesa in deficit. Questo i keynesiani "mainstream" come
Galimberti lo ritengono sconsigliabile. In altri termini, in questo caso
anche loro sono colti da "diffidenze" più o meno istintive.
Perché, dunque, qualcuno insiste nell'esprimere contrarietà alla creazione
(ancorché "moderata", ovviamente secondo gradi di moderazione soggettivi)
di denaro dal nulla e al deficit spending? Detto in estrema sintesi, perché
le "diffidenze" che per qualcuno sono istintive, lo dovrebbero essere anche
ragionando guidati dal buon senso.
Se la quantità di moneta viene aumentata non vi è alcuna variazione nella
ricchezza (beni e servizi) reale. Semplicemente la ricchezza reale
esistente viene redistribuita a vantaggio dei primi percettori del denaro
di nuova creazione e a svantaggio di chi quei soldi non li vedrà mai. Se
così non fosse, è evidente che nessuno dovrebbe fare alcuno sforzo per
produrre ricchezza e potremmo vivere tutti quanti nella bambagia (e
purtroppo c'è anche chi crede che ciò sarebbe possibile).
Anche la spesa pubblica finanziata in deficit non fa altro che
redistribuire ricchezza presente o futura (se una parte del deficit viene
prima o poi coperta da un aumento delle tasse). Finanziare il deficit
creando denaro non fa altro che sostituire la tassazione esplicita con
quella implicita (e probabilmente ancor più detestabile) dell'inflazione.
Lo stesso Keynes, in fin dei conti, già nei primi capitoli della Teoria
Generale indicava nella confusione tra salari nominali (quelli sui quali si
concentrerebbero i percettori) e salari reali la chiave di volta per
superare le resistenze a una diminuzione dei salari nominali.
Detto che questa impostazione è viziata, come tante altre della
macroeconomia, dalla considerazione di dati aggregati che eliminano
artificialmente le peculiarità che si possono cogliere solo con un'analisi
microeconomica, alla fine la presunta soluzione consisterebbe nell'ottenere
con l'inganno ciò che non si riesce (agevolmente) a ottenere con la
contrattazione.
A parte il fatto che un raggiro del genere può funzionare solo a breve
termine e un suo proseguimento porta inevitabilmente a livelli di
inflazione crescenti, l'idea stessa a me pare del tutto inaccettabile.
Eppure chi nutre anche solo "istintive diffidenze" è tacciato di essere
goffo, come chi non apre i canali di irrigazione durante la siccità per
paura delle inondazioni. Considerando chi manovra le chiuse le diffidenze
sono ben motivate, a mio parere.
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