Scorie - Quanto costa quella bandiera
Se c'è una storia che (purtroppo) non fiisce mai, anche quando sembrerebbe, è quella della ex Alitalia. Come ampiamente annunciato durante la campagna elettorale, la nuova maggioranza ha deciso di rimescolare le carte, al grido di "L'Italia non può non avere una compagnia di bandiera". E pazienza se per quella bandiera i pagatori di tasse stanno da decenni pagando miliardi a fondo perduto.
Inun articolo pubblicato sul Sole 24 Ore Giovanni Fiori, Commissario vecchia Alitalia nonché Professore di Economia Aziendale alla Luiss, sostiene che rimettere in gioco Msc-Lufthansa è una buona idea. In effetti l'offerta precedentemente esclusa aveva il vantaggio di prevedere una quota dell'80% per i nuovi partner, e il governo Draghi preferì mantenere il 49%. Tuttavia le argomentazioni di Fiori mi sembrano discutibili.
Partendo dalla domanda classica:
"Ma l'Italia ha bisogno o no di una compagnia di bandiera? Molti pensano di no, e credono che in sua assenza gli spazi di mercato verrebbero occupati da altri operatori e che i viaggiatori da e per l'Italia potrebbero comunque andare dove vogliono."
Io la penso esattamente così. Non Fiori.
"Questa posizione non è assolutamente condivisibile. Non è un caso se qualunque Paese di una certa rilevanza ha, di fatto, la propria compagnia di bandiera, e che quasi sempre esiste una forma diretta o indiretta di controllo pubblico sulla stessa. Il motivo è semplice: i flussi in entrata e in uscita delle persone, siano essi legati al turismo o agli affari, vanno gestiti e non subiti. Pensiamo davvero che i voli di breve e medio raggio possano essere operati da Ryanair o EasyJet in modo tale da soddisfare tutte le esigenze di politica industriale e turistica dell'Italia? Pensiamo che i voli di lungo raggio (che le low cost non operano) debbano essere gestiti in toto dalle compagnie straniere? Che decidono loro quanti voli debbano esserci per l'Italia? Se nessun Paese serio ha optato per questa scelta un motivo ci sarà. Il trasporto aereo è uno strumento di politica industriale e turistica, che non può essere delegato a soggetti (quasi sempre stranieri) che gestiscono i flussi di passeggeri pensando ai loro interessi e non a quelli del Paese."
In estrema sintesi, l'unica argomentazione di Fiori è riconducibile al "così fan tutti". Ovviamente in una gara a chi è più statalista. Argomentazione debole, a mio parere.
In sostanza, si basa sull'assunto che sia compito dello Stato gestire i flussi, quindi i piani dei voli. Interessante il passaggio in cui Fiori pone l'accento sul fatto che le compagnie "gestiscono i flussi di passeggeri pensando ai loro interessi e non a quelli del Paese".
Un operatore di mercato basa le proprie scelte in funzione della profittabilità attesa delle tratte aeree. Questo fa inorridire chi la pensa come Fiori, senza peraltro che sia esplicitato cosa comporta la definizione delle tratte basata su considerazioni di politica (industriale). Ma ciò dovrebbe essere ben chiaro: se una tratta è strutturalmente in perdita, gli azionisti devono farsi farico di quelle perdite. E' comprensibile che dei soggetti privati cerchino di evitare di perdere soldi. I pagatori di tasse vorrebbero poter fare altrettanto, ma il loro parere è considerato meno di zero dai Fiori di questo mondo.
Dopo aver motivato perché preferisce il consorzio Msc-Lufthansa, Fiori ribadisce che "un ruolo minimo nella gestione della compagnia, lo Stato italiano lo dovrà mantenere. E riteniamo che possa essere esercitato senza ledere gli interessi di quelli che saranno gli azionisti di maggioranza. Se la strategia industriale è corretta e basata sullo sviluppo di Ita (e non nel suo ridimensionamento per mantenere posizioni di vantaggio), a vincere saranno tutti i soci, e anche il sistema Paese."
Qui siamo, nella migliore delle ipotesi, al wishful thinking. Lo Stato, con il 20%, dovrebbe mantenere un ruolo nella gestione, pur senza ledere gli interessi dei soci di maggioranza. Io resto dell'idea che sarebbe molto meglio che lo Stato vendesse tutto quanto e ponesse definitiavmente fine al calvario dei pagatori di tasse. Soprattutto perché quando leggo tesi sulla necessità di fare politica industriale non posso non pensare a voli strutturalmente in perdita. Dubito che qualunque partner vorrebbe accollarsi quelle perdite.
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