Scorie - Va bene la critica al mainstream, ma non facendo passi indietro
Su segnalazione di un amico, ho letto un post dal titolo "Gli incalcolabili danni dell'economia mainstream", nel quale gli autori, Lucrezia Fanti e Mauro Gallegati, partono da una critica dei modelli macroeconomici ed econometrici utilizzati prevalentemente da accademici e policymakers per poi dare un suggerimento sul da farsi.
Posto che non condivido l'idea che nei modelli mainstream via sia "solo qualche tinta a intensità variabile di "keynesismo bastardo", evidentemente ritenute insufficienti dagli autori (il paradigma dominante è quello cosiddetto neo-keynesiano, e forse è questo che gli autori considerano "keynesismo bastardo"), c'è un passaggio sul quale vorrei fare qualche considerazione.
"A livello teorico il ruolo della domanda aggregata in senso genuinamente keynesiano, dell'innovazione come motore della crescita economica, l'eterogeneità come elemento centrale per l'analisi dei conflitti distributivi e delle disuguaglianze di reddito e ricchezza, e l'ipotesi di instabilità finanziaria (teorizzata da Hyman Minsky) come fenomeno intrinseco dei sistemi capitalistici, sono oggi elementi imprescindibili all'interno di numerosi filoni di ricerca, sia teorici che empirici, indagati e sviluppati da un numero crescente di ricercatori ed economisti."
Se si vuole il Keynes genuino, occorre rileggere la sua Teoria Generale. Dubito che si possa concludere che quello sia meglio del neo-keynesismo, ancorché il Keynes della Teoria Generale sia comunque preferibile ai diversi keynesismi di cui sono infarcite le ricette economiche dei partiti politici italiani, tanto per fare un esempio.
Il Keynes che per mantenere artificialmente gonfia la domanda aggregata invita lo Stato e la banca centrale a spendere denaro (il primo) creato dal nulla (dalla seconda), o peggio ancora invita lo Stato a riempire bottiglie con banconote organizzando poi una sorta di caccia al tesoro, non è certo da rimpiangere.
Né lo sono il feticcio del moltiplicatore e l'anteposizione della domanda alla produzione, o la totale incapacità di rendersi conto che il risparmio reale non è un anatema per l'economia, bensì la base per una crescita sana e sostenibile. Considerando, poi, che la produttività è stagnante in Italia da lustri, anche volendo ammettere un ruolo per le politiche economiche (che personalmente considero complessivamente dannose), mi pare ottuso ritenere che non vi sia un problema dal lato dell'offerta o che lo si possa risolvere con politiche concentrate sulla domanda.
Quanto all'ipotesi di insostenibilità finanziaria di Minsky, pur ritenendo condivisibile la descrizione del passaggio da hedge unit a Ponzi unit, la trovo carente all'inizio, dato che l'insostenibilità non è endogena ma dovuta a interventi (prevalentemente) in campo monetario. E la trovo non convincente alla fine, dato che allo scoppio della bolla si propone come rimedio ancora l'intervento (prevalentemente) in campo monetario.
In definitiva, ben venga la critica ai modelli mainstream, ma se l'eterodossia deve essere rappresentata dal primo Keynes, il rischio concreto è di fare un passo indietro, non in avanti (e non intendo in termini cronologici).
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