Scorie - Il socialismo non è un vaccino




Il 5 maggio 1818 nasceva Karl Marx. Duecento anni dopo c'è chi ritiene che sia doveroso ricordare quell'evento. Per esempio, sul supplemento culturale della domenica del Sole 24Ore del 29 aprile c'è una intera pagina dedicata a Marx.

Il liberal (nel senso rawlsiano) Sebastiano Maffettone è autore di uno degli articoli dedicati all'"evento", nel quale scrive, tra le altre cose, che "va anche detto che – pur dando a Marx quel che è di Marx – bisogna ammettere che la sua condanna delle liberal-democrazia e con essa di ogni forma di socialismo liberale e democratico appare troppo drastica. Non è vero che le libertà costituzionali classiche e le procedure democratiche siano puramente formali, anche se è vero che bisogna proteggerle dalla tirannia di una minoranza ricca e potente. Per fare qualcosa del genere, è difficile non tenere conto di quanto suggeriscono le teorie liberal della giustizia, per cui la proprietà privata dei mezzi di produzione è consentita ma solo a patto che in questo modo si contribuisca a realizzare princìpi di giustizia liberali e egualitari. Al tempo stesso, una soluzione del genere garantisce la tutela degli interessi morali dei cittadini, e quindi resiste alla critica di Marx, secondo cui capitalismo e liberal-democrazia sarebbero l'altra faccia di una società civile in cui convivono individui egoisti chiusi gli uni rispetto agli altri. I princìpi di giustizia creano invece un clima di solidarietà diffusa che evita un effetto del genere. È chiaro che questo è quanto auspicherebbe la società comunista che Marx invoca. Ma proprio la società comunista in questione appare in tensione con quei vincoli che riguardano la scarsità moderata dei beni e la benevolenza limitata delle persone, vincoli che è impossibile trascurare nell'ambito di qualsivoglia visione normale della giustizia. È da questo punto di vista che la società comunista di Marx risulta utopica in senso negativo. In sostanza, la critica marxiana di capitalismo e liberal-democrazia non trova in un regime di socialismo centralistico una risposta adeguata, ma nulla esclude che possa trovarla nell'ambito di una visione della giustizia liberal e social-democratica".

Contrariamente a Maffettone, per il quale Rawls e la sua teoria della giustizia sono entità divina il primo e un testo sacro la seconda, io credo che quella stessa teoria sia fondamentalmente totalitaria. Quindi la differenza tra ciò che predicava Marx e quello che proponeva Rawls sia solo di grado.

Ogni volta che, in nome della "giustizia sociale", si comprime la proprietà legittimamente acquisita da una persona per beneficiare altri, si conferisce al redistributore un potere totalitario. Marx è solo (tragicamente) coerente fino in fondo.

La solidarietà diffusa non può essere imposta, altrimenti non è solidarietà. Né si può considerare non totalitario un regime in cui qualcuno può decidere quanto comprimere la proprietà privata in nome della solidarietà.

Non esiste una dose di socialismo che non sia nociva. Il socialismo non è un vaccino.
 "Se io domenica mattina vado a votare - ha sottolineato il Cardinale- è perché sono convinto che esista un bene comune che riguarda te, riguarda tutti noi. Siamo un 'noi' di cui dobbiamo tenere conto. E mi fa paura, invece, questo atteggiamento individualistico, in fondo, di non scegliere. E, poi, quante nazioni ci sono nel mondo dove non si vota, dove c'è una testa che ha già pensato tutto... In fondo noi viviamo in una democrazia... E' un valore aggiunto anche la democrazia. In democrazia senti cose dritte, senti cose storte, senti cose che condividi e non condividi... Certamente tutti abbiamo il dovere di informarci, di farci una coscienza. Il voto è esprimere un giudizio".


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