Scorie - Non c'è nessun reale eccesso di risparmio

"Ci sarebbe la tentazione di concludere che, dal momento che i tassi bassi generano queste difficoltà, allora sono il problema. Ma non è così; sono il sintomo di un problema di fondo che è l'insufficiente domanda di investimenti in tutto il mondo, che non riesce ad assorbire tutti i risparmi disponibili nel sistema economico."
(M. Draghi)

Pur ammettendo che i tassi di interesse bassi (perfino negativi) creano difficoltà alle banche (comprimendone il margine di interesse) e ai fondi pensione (soprattutto se a prestazione definita), Mario Draghi difende la politica monetaria della BCE (e non potrebbe essere altrimenti, essendone lui il presidente) facendo ricorso al classico ragionamento keynesiano di insufficiente domanda aggregata, in particolar modo per quanto riguarda la componente relativa agli investimenti.

In pratica, ci sarebbero troppi risparmi che non danno luogo a investimenti per insufficiente domanda di questi ultimi, e ciò determinerebbe la spinta al ribasso sui tassi di interesse.

Utilizzando la macroeconomia keynesiana ciò è aritmeticamente vero, ma il problema è che gli addendi della macroeconomia keynesiana rappresentano una realtà inesistente, per lo meno con riferimento all'aggregato del risparmio.

Da un punto di vista nominale, la quantità di denaro non utilizzata per consumi è considerata risparmio, e se gli investimenti, sempre in termini nominali, non coincidono con i risparmi, nella logica keynesiana significa che la domanda è carente, il che genera una tendenza deflattiva.

Il fatto è che gran parte di ciò che è considerato risparmio altro non è che denaro creato dal nulla, non derivante, quindi, da redditi prodotti mediante scambi originati da attività produttive. Se le banche centrali adottano provvedimenti espansivi che determinano un aumento della quantità di denaro, ciò non significa affatto che la parte di quel denaro non utilizzato per consumi o investimenti sia risparmio reale in eccesso.

Quella che appare come una carenza di domanda, più in generale, è semplicemente uno squilibrio che il mercato correggerebbe se lasciato libero da interventismi. Ma voler contrastare le correzioni di mercato agli squilibri accumulatisi durante una espansione alimentata da politica monetaria espansiva ricorrendo a interventi ancora più espansivi non fa altro che rimandare l'aggiustamento, aumentando le dimensioni del problema.

In un contesto del genere non ci si deve stupire che gli investimenti non aumentino quanto vorrebbero le banche centrali (e i governi alle loro spalle). Considerando, poi, che molti investimenti apparirebbero oggi profittevoli solo in virtù di tassi di interesse artificialmente compressi, è perfino un bene che non aumentino quanto vorrebbero le banche centrali (e i governi alle loro spalle).

Gran parte di essi finirebbero per rivelarsi fallimentari se venisse meno lo stimolo monetario.


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