Scorie - Investimenti (sulla rielezione)
"Nella scorsa legislatura fu un errore approvare il fiscal compact così come fu approvato, perché quella filosofia distruggeva l'idea di economia del nostro Paese. I primi a pagare le conseguenze del fiscal compact furono gli amministratori locali che, messi al bivio tra tagliare servizi e investimenti, tagliavano gli investimenti. Purtroppo anche io ho fatto lo stesso quando ero sindaco. Questo taglio degli investimenti ha portato a un danno pazzesco per la nostra economia. Lo si è fatto a livello locale e a livello nazionale. Spendevamo 40 miliardi all'anno di investimenti e siamo passati a venti miliardi di investimenti. Una diminuzione devastante. Con questa operazione è crollata la nostra economia e anche l'indotto, a partire dal settore delle costruzioni che ha perso più di mezzo milione di posti di lavoro."
(M. Renzi)
Le dichiarazioni di Matteo Renzi che ho riportato sono emblematiche di come ragioni una fetta (ahimè) maggioritaria della cosiddetta classe dirigente italiana, in modo trasversale agli schieramenti politici.
Il bilancio dello Stato è visto come volano di crescita economica, mediante la parola magica: investimenti. Se non fosse per il fiscal compact, che ha ulteriormente ristretto i vincoli di bilancio, l'economia italiana non sarebbe crollata, al contrario di quanto è avvenuto.
In effetti il fiscal compact distrugge, o quanto meno cerca di porre un severo freno, a quella che Renzi definisce "idea di economia del nostro Paese", ossia all'uso della spesa, possibilmente in deficit, per gonfiare la domanda aggregata, e quindi il Pil.
Ora, io capisco che a Renzi diano fastidio le puntualizzazioni sui numeri, ma secondo i dati della Ragioneria generale dello Stato, nel 2015 gli investimenti fissi lordi ammontavano a 37,2 miliardi, mentre i contributi agli investimenti erano altri 15,6 miliardi. Messi assieme fanno molto più di 20, come potrebbe testimoniare un bambino al primo anno di scuola.
A parte questo "dettaglio", le amministrazioni pubbliche spendono ancora circa 162 miliardi di costo del personale, 88 miliardi di consumi intermedi e 377 miliardi di prestazioni sociali varie. Come ho già osservato più volte, l'unica voce di spesa realmente diminuita negli ultimi anni è quella per interessi sul debito, scesa sotto i 70 miliardi, il che è attribuibile per lo più alla politica monetaria espansiva della Bce che ai meriti dei governi italiani.
Considerando che la minor spesa per interessi potrebbe essere ritenuta strutturale solo se determinata da una diminuzione altrettanto strutturale del debito, che non pare all'orizzonte, tutti questi tagli di spesa non si vedono. Effettivamente le spese classificate come investimenti sono diminuite negli ultimi 5 anni (meno di quanto sostenuto da Renzi), ma la spesa complessiva non è diminuita. Anzi.
Tra l'altro, non è vero che l'unica alternativa al taglio dei servizi (che quando si vuole fare sensazionalismo è definita "macelleria sociale", come se la tassazione non lo fosse) fosse la riduzione degli investimenti: di spesa da tagliare ce ne sarebbe stata tanta, ma si trattava di spesa più direttamente connessa al consenso politico. Quindi è un comodo espediente sostenere che un amministratore deve scegliere tra ridurre i servizi (che peraltro potrebbero essere messi in discussione, anche se non lo faccio in questa sede) o gli investimenti, ma ciò non corrisponde a verità.
I Renzi di questo mondo preferirebbero che politicamente fosse stabilito che le spese per investimenti non costituiscono deficit, anche se effettivamente finanziate in eccesso alle entrate fiscali. Il problema è che non basta stabilire politicamente che una certa spesa è investimento e che gli investimenti non producono deficit per far venire meno la necessità di finanziare quelle spese.
In altri termini, non esistono pasti gratis o moltiplicatori dei pani e dei pesci. Ciò che è devastante non è la riduzione degli investimenti pubblici, che assorbono comunque tassazione presente o futura. A essere devastante è il perpetuarsi dell'idea che lo Stato sia produttore di ricchezza, quando in realtà può al massimo redistribuirla (violando il diritto di proprietà dei cosiddetti contribuenti), distruggendone nel processo una quantità non irrisoria.
Se siamo ingolfati di debito pubblico non è colpa del fiscal compact, ma del fatto che nulla è stato fatto, in passato, per contenere la mania spendereccia dei tanti Renzi pronti a sostenere svariate forme di spesa, magari volendole far passare per investimenti.
Investimenti sì, ma per la propria rielezione.
(M. Renzi)
Le dichiarazioni di Matteo Renzi che ho riportato sono emblematiche di come ragioni una fetta (ahimè) maggioritaria della cosiddetta classe dirigente italiana, in modo trasversale agli schieramenti politici.
Il bilancio dello Stato è visto come volano di crescita economica, mediante la parola magica: investimenti. Se non fosse per il fiscal compact, che ha ulteriormente ristretto i vincoli di bilancio, l'economia italiana non sarebbe crollata, al contrario di quanto è avvenuto.
In effetti il fiscal compact distrugge, o quanto meno cerca di porre un severo freno, a quella che Renzi definisce "idea di economia del nostro Paese", ossia all'uso della spesa, possibilmente in deficit, per gonfiare la domanda aggregata, e quindi il Pil.
Ora, io capisco che a Renzi diano fastidio le puntualizzazioni sui numeri, ma secondo i dati della Ragioneria generale dello Stato, nel 2015 gli investimenti fissi lordi ammontavano a 37,2 miliardi, mentre i contributi agli investimenti erano altri 15,6 miliardi. Messi assieme fanno molto più di 20, come potrebbe testimoniare un bambino al primo anno di scuola.
A parte questo "dettaglio", le amministrazioni pubbliche spendono ancora circa 162 miliardi di costo del personale, 88 miliardi di consumi intermedi e 377 miliardi di prestazioni sociali varie. Come ho già osservato più volte, l'unica voce di spesa realmente diminuita negli ultimi anni è quella per interessi sul debito, scesa sotto i 70 miliardi, il che è attribuibile per lo più alla politica monetaria espansiva della Bce che ai meriti dei governi italiani.
Considerando che la minor spesa per interessi potrebbe essere ritenuta strutturale solo se determinata da una diminuzione altrettanto strutturale del debito, che non pare all'orizzonte, tutti questi tagli di spesa non si vedono. Effettivamente le spese classificate come investimenti sono diminuite negli ultimi 5 anni (meno di quanto sostenuto da Renzi), ma la spesa complessiva non è diminuita. Anzi.
Tra l'altro, non è vero che l'unica alternativa al taglio dei servizi (che quando si vuole fare sensazionalismo è definita "macelleria sociale", come se la tassazione non lo fosse) fosse la riduzione degli investimenti: di spesa da tagliare ce ne sarebbe stata tanta, ma si trattava di spesa più direttamente connessa al consenso politico. Quindi è un comodo espediente sostenere che un amministratore deve scegliere tra ridurre i servizi (che peraltro potrebbero essere messi in discussione, anche se non lo faccio in questa sede) o gli investimenti, ma ciò non corrisponde a verità.
I Renzi di questo mondo preferirebbero che politicamente fosse stabilito che le spese per investimenti non costituiscono deficit, anche se effettivamente finanziate in eccesso alle entrate fiscali. Il problema è che non basta stabilire politicamente che una certa spesa è investimento e che gli investimenti non producono deficit per far venire meno la necessità di finanziare quelle spese.
In altri termini, non esistono pasti gratis o moltiplicatori dei pani e dei pesci. Ciò che è devastante non è la riduzione degli investimenti pubblici, che assorbono comunque tassazione presente o futura. A essere devastante è il perpetuarsi dell'idea che lo Stato sia produttore di ricchezza, quando in realtà può al massimo redistribuirla (violando il diritto di proprietà dei cosiddetti contribuenti), distruggendone nel processo una quantità non irrisoria.
Se siamo ingolfati di debito pubblico non è colpa del fiscal compact, ma del fatto che nulla è stato fatto, in passato, per contenere la mania spendereccia dei tanti Renzi pronti a sostenere svariate forme di spesa, magari volendole far passare per investimenti.
Investimenti sì, ma per la propria rielezione.
Commenti
Posta un commento