Scorie - Cosa giustifica l'esistenza dei paradisi fiscali
Apprendo dall'ANSA che oltre 300 economisti di 30 Paesi hanno sottoscritto con Oxfam una lettera aperta ai leader mondiali alla vigilia del Summit Anticorruzione del 12 maggio, chiedendo uno stop definitivo ai paradisi fiscali.
Secondo Oxfam e i firmatari dell'appello, "ad oggi non c'è alcuna reale ragione economica che possa ancora giustificare l'esistenza dei paradisi fiscali".
Ancorché l'appello sia stato sottoscritto da persone che di lavoro fanno gli economisti (per lo più in università e altre istituzioni pubbliche, finanziate da tasse altrui), non significa che l'affermazione che ho riportato abbia economicamente senso. Costoro sicuramente potrebbero costruire e mostrare modelli in cui il gettito fiscale, amministrato da governi illuminati (magari perché consigliati dai firmatari dell'appello), consentirebbe di trasformare la Terra in un unico grande paradiso, altro che paradisi fiscali.
Purtroppo dal punto di vista economico ciò sarebbe possibile solo se i governanti (e i loro consiglieri) fossero onniscienti, il che è semplicemente impossibile. Ne consegue che ogni risorsa prelevata mediante il fisco ai legittimi proprietari non è utilizzata nel modo economicamente più efficiente, ma semplicemente nel modo ritenuto preferibile da chi governa (e dai consiglieri di chi governa).
Ma se, per assurdo, chi governa fosse onnisciente, cadrebbero le obiezioni all'abolizione dei paradisi fiscali?
A mio parere no, perché resterebbe pur sempre qualcosa che viene prima di ogni considerazione utilitaristica, ossia il rispetto del diritto di proprietà.
L'esistenza dei paradisi fiscali, che altro non è se non la permanenza di una qualche forma di concorrenza tra Stati in materia fiscale, rappresenta un argine alle pretese del fisco. Se scomparissero definitivamente, il diritto di proprietà nei rapporti tra Stato e pagatori di tasse sarebbe totalmente svuotato dal punto di vista sostanziale, ancorché si continuasse a ritenerlo esistente dal punto di vista formale.
La fine dei paradisi fiscali non sarebbe l'inizio della fine della povertà come vogliono farci credere, ma la fine del diritto di proprietà.
Secondo Oxfam e i firmatari dell'appello, "ad oggi non c'è alcuna reale ragione economica che possa ancora giustificare l'esistenza dei paradisi fiscali".
Ancorché l'appello sia stato sottoscritto da persone che di lavoro fanno gli economisti (per lo più in università e altre istituzioni pubbliche, finanziate da tasse altrui), non significa che l'affermazione che ho riportato abbia economicamente senso. Costoro sicuramente potrebbero costruire e mostrare modelli in cui il gettito fiscale, amministrato da governi illuminati (magari perché consigliati dai firmatari dell'appello), consentirebbe di trasformare la Terra in un unico grande paradiso, altro che paradisi fiscali.
Purtroppo dal punto di vista economico ciò sarebbe possibile solo se i governanti (e i loro consiglieri) fossero onniscienti, il che è semplicemente impossibile. Ne consegue che ogni risorsa prelevata mediante il fisco ai legittimi proprietari non è utilizzata nel modo economicamente più efficiente, ma semplicemente nel modo ritenuto preferibile da chi governa (e dai consiglieri di chi governa).
Ma se, per assurdo, chi governa fosse onnisciente, cadrebbero le obiezioni all'abolizione dei paradisi fiscali?
A mio parere no, perché resterebbe pur sempre qualcosa che viene prima di ogni considerazione utilitaristica, ossia il rispetto del diritto di proprietà.
L'esistenza dei paradisi fiscali, che altro non è se non la permanenza di una qualche forma di concorrenza tra Stati in materia fiscale, rappresenta un argine alle pretese del fisco. Se scomparissero definitivamente, il diritto di proprietà nei rapporti tra Stato e pagatori di tasse sarebbe totalmente svuotato dal punto di vista sostanziale, ancorché si continuasse a ritenerlo esistente dal punto di vista formale.
La fine dei paradisi fiscali non sarebbe l'inizio della fine della povertà come vogliono farci credere, ma la fine del diritto di proprietà.
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