Scorie - Danno i numeri su Brexit
"Abbiamo fatto tutte le simulazioni possibili e il risultato finale è un interrogativo. Perché sprechiamo tanto tempo, tanta fatica, tanto talento nel cercare modelli capaci di compensare le conseguenze di una cattiva decisione quando non sta scritto da nessuna parte che una decisione del genere debba davvero essere presa? Non c'è alcuna ragione per pensare che Londra possa arrivare ad accordi commerciali e intese sugli investimenti migliori di quelli esistenti."
(A. Gurria)
Come è noto, il prossimo 23 giugno i cittadini del Regno Unito saranno chiamati alle urne per stabilire, mediante un referendum, se restare o meno nell'Unione europea.
Come è (o dovrebbe essere) altrettanto noto, tutte le organizzazioni multilaterali e i think tank da essi finanziati sono fortemente contrari all'ipotesi di Brexit, che darebbe un ulteriore colpo alla sempre meno popolare (tra i suoi cittadini) Unione europea. Non potrebbe essere altrimenti, dato che tutte le tecno-burocrazie fondano ed espandono il loro potere sulla proliferazioni di costruzioni come l'Ue. Si tratta di consumatori di tasse su base sovranazionale, ai quali corrispondono milioni di pagatori di tasse sparsi nei Paesi della Ue.
Non mi interessa entrare nel merito del quesito referendario che sarà sottoposto ai britannici, mentre vorrei sottolineare l'uso del catastrofismo da parte dei contrari alla Brexit come strumento per scongiurare la vittoria del sì.
Non c'è ancora chi è arrivato a sostenere che, se vincesse il sì, il 24 giugno non sorgerebbe neppure il sole al di là della Manica, ma mancano ancora quasi due mesi, per cui non mi stupirei di sentire o leggere affermazioni del genere nelle prossime settimane.
Anche il segretario generale dell'OCSE, Angel Gurria, ha voluto portare il suo contributo alla causa "No Brexit", commentando, come ho riportato, uno studio effettuato dall'organizzazione che dirige in base al quale Brexit causerebbe una perdita di Pil al Regno Unito del 3 per cento entro il 2020 e del 6 per cento entro il 2030. Votare sì sarebbe roba da Tafazzi, in pratica.
Per completezza di informazione, anche i fautori del Brexit mettono in conto una contrazione del Pil nel breve termine, ma sono ovviamente tutt'altro che pessimisti sul medio lungo periodo.
Ora, il fatto è che tutte queste quantificazioni relative a eventi futuri hanno una solidità scientifica pari a zero. A maggior ragione quando si spingono a fare previsioni su un orizzonte di decenni. Tuttavia, capita spesso di leggere sui mezzi di informazione (evidentemente contrari a Brexit) affermazioni per cui le previsioni fatte da taluni sarebbero corrette, mentre quelle fatte da altri no.
Per esempio, il Sole24Ore commenta lo studio dell'OCSE così:
"Parole che mandano in frantumi la tesi dei brexiters pronti a riconoscere il possibile choc economico sul breve periodo in caso di pollice verso all'Ue, ma fermi nel sostenere che sul medio e lungo termine il divorzio da Bruxelles porterà benefici economici. Tesi che si regge su un enunciato, non avendo mai trovato indicazioni empiriche in grado di sostenerla."
In realtà neppure l'OCSE può basare su "indicazioni empiriche" le sue previsioni su quello che succederà di qui al 2030.
Tutto ciò detto, credo che le previsioni su quanto succederà in termini economici non saranno l'unica determinante del voto. Ciò nondimeno, comunque la si pensi nel merito del quesito, quantificare gli effetti del voto sul Pil del 2017 e a maggior ragione del 2030, è una pretesa del tutto vana.
(A. Gurria)
Come è noto, il prossimo 23 giugno i cittadini del Regno Unito saranno chiamati alle urne per stabilire, mediante un referendum, se restare o meno nell'Unione europea.
Come è (o dovrebbe essere) altrettanto noto, tutte le organizzazioni multilaterali e i think tank da essi finanziati sono fortemente contrari all'ipotesi di Brexit, che darebbe un ulteriore colpo alla sempre meno popolare (tra i suoi cittadini) Unione europea. Non potrebbe essere altrimenti, dato che tutte le tecno-burocrazie fondano ed espandono il loro potere sulla proliferazioni di costruzioni come l'Ue. Si tratta di consumatori di tasse su base sovranazionale, ai quali corrispondono milioni di pagatori di tasse sparsi nei Paesi della Ue.
Non mi interessa entrare nel merito del quesito referendario che sarà sottoposto ai britannici, mentre vorrei sottolineare l'uso del catastrofismo da parte dei contrari alla Brexit come strumento per scongiurare la vittoria del sì.
Non c'è ancora chi è arrivato a sostenere che, se vincesse il sì, il 24 giugno non sorgerebbe neppure il sole al di là della Manica, ma mancano ancora quasi due mesi, per cui non mi stupirei di sentire o leggere affermazioni del genere nelle prossime settimane.
Anche il segretario generale dell'OCSE, Angel Gurria, ha voluto portare il suo contributo alla causa "No Brexit", commentando, come ho riportato, uno studio effettuato dall'organizzazione che dirige in base al quale Brexit causerebbe una perdita di Pil al Regno Unito del 3 per cento entro il 2020 e del 6 per cento entro il 2030. Votare sì sarebbe roba da Tafazzi, in pratica.
Per completezza di informazione, anche i fautori del Brexit mettono in conto una contrazione del Pil nel breve termine, ma sono ovviamente tutt'altro che pessimisti sul medio lungo periodo.
Ora, il fatto è che tutte queste quantificazioni relative a eventi futuri hanno una solidità scientifica pari a zero. A maggior ragione quando si spingono a fare previsioni su un orizzonte di decenni. Tuttavia, capita spesso di leggere sui mezzi di informazione (evidentemente contrari a Brexit) affermazioni per cui le previsioni fatte da taluni sarebbero corrette, mentre quelle fatte da altri no.
Per esempio, il Sole24Ore commenta lo studio dell'OCSE così:
"Parole che mandano in frantumi la tesi dei brexiters pronti a riconoscere il possibile choc economico sul breve periodo in caso di pollice verso all'Ue, ma fermi nel sostenere che sul medio e lungo termine il divorzio da Bruxelles porterà benefici economici. Tesi che si regge su un enunciato, non avendo mai trovato indicazioni empiriche in grado di sostenerla."
In realtà neppure l'OCSE può basare su "indicazioni empiriche" le sue previsioni su quello che succederà di qui al 2030.
Tutto ciò detto, credo che le previsioni su quanto succederà in termini economici non saranno l'unica determinante del voto. Ciò nondimeno, comunque la si pensi nel merito del quesito, quantificare gli effetti del voto sul Pil del 2017 e a maggior ragione del 2030, è una pretesa del tutto vana.
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