Scorie - La flessibilità non cancella il deficit
"È improprio poi sostenere che, essendo tornato positivo il Pil, è tempo di mettere fieno in cascina a colpi di nuovi e forti avanzi primari. Il ritmo di crescita con cui siamo entrati nel nuovo anno è tutt'altro che sostenuto e gli stessi dati sul lavoro, forniti dall'Istat martedì scorso, rivelano una flessione degli occupati nell'ultimo mese dell'anno. Altro che rischi pro-ciclici di una politica di bilancio espansiva: qui c'è tanto ancora da investire in crescita se vogliamo davvero che l'Italia metta alle spalle la sua lunga crisi e conquisti una stabilità, anche finanziaria, che è nell'interesse dell'Europa tutta."
(F. Forquet)
Fabrizio Forquet, vice direttore del Sole 24 Ore, sostiene le richieste di "flessibilità" sui conti pubblici avanzate dal governo italiano nei confronti della Commissione Ue. Il tutto è basato sulla visione, ampiamente condivisa da quel giornale e dal suo editore, in base alla quale il bilancio dello Stato rappresenta uno strumento da utilizzare per la crescita economica.
Si tratta del buon vecchio keynesismo all'amatriciana che prevale nel Belpaese, in cui la lobby industriale (o, per lo meno, chi conta all'interno della stessa) non chiede allo Stato di farsi da parte e lasciar fare alle imprese, bensì anela a fare affari con lo Stato stesso, meglio se al riparo dalla concorrenza.
Dietro alla parola "flessibilità" non c'è altro che deficit pubblico aggiuntivo, che prima o poi qualcuno dovrà pagare. Perché pasti gratis non ve ne sono, checché qualcuno continui a crederlo o a volerlo far credere agli altri.
Come ho evidenziato più volte, per chi crede che il Pil prodotto in deficit sia salutare non è mai il momento di contenere il disavanzo. Guai a farlo quando si è in recessione, e neppure quando le cose vanno meno peggio. Il miglior momento per sistemare il bilancio dello Stato è sempre domani.
Uno dei motivi di discussione in queste settimane tra il governo italiano e la Commissione Ue riguarda le spese sostenute per salvare e fornire assistenza alle migliaia di persone più o meno disperate che attraversano il Mediterraneo in direzione Italia. Da quando Angela Merkel, la scorsa estate, ha dichiarato di accogliere in Germania tutti i profughi siriani che vi si recassero, il flusso di persone che transita dalla Turchia non ha fatto altro che aumentare.
Nel tentativo di rallentare gli arrivi, anche a seguito di un calo di popolarità interna, Merkel ha fatto pressione affinché la Ue fornisse assistenza alla Turchia per 3 miliardi. Fuori dalle ipocrisie, si tratta di un pagamento fatto al governo turco per limitare i flussi verso l'Europa, Germania in primis.
La Germania ha sostanzialmente imposto a tutti i Paesi Ue di partecipare pro quota al pagamento. Di qui la richiesta italiana dapprima di scomputare quei soldi dal conto del deficit. Poi di considerare fuori dal deficit anche le altre spese sostenute per il salvataggio dei migranti provenienti dall'Africa via Mediterraneo.
In effetti non si vede per quale motivo i soldi da dare alla Turchia debbano gravare pro quota su tutti, mentre le missioni nel Mediterraneo debbano essere a carico esclusivamente di chi le fa. Ciò detto, si può anche far finta che il denaro speso per questo o quel motivo non vada contabilizzato nel calcolo del deficit, ma ciò non fa altro che occultare una parte dello stesso deficit e, di conseguenza del debito pubblico.
Così come non è facendo deficit che si produce crescita economica (nella migliore delle ipotesi, si anticipa un po' di Pil futuro), non è stabilendo convenzionalmente che il deficit non esiste che si risolve il problema. Nessuna flessibilità può modificare la realtà.
(F. Forquet)
Fabrizio Forquet, vice direttore del Sole 24 Ore, sostiene le richieste di "flessibilità" sui conti pubblici avanzate dal governo italiano nei confronti della Commissione Ue. Il tutto è basato sulla visione, ampiamente condivisa da quel giornale e dal suo editore, in base alla quale il bilancio dello Stato rappresenta uno strumento da utilizzare per la crescita economica.
Si tratta del buon vecchio keynesismo all'amatriciana che prevale nel Belpaese, in cui la lobby industriale (o, per lo meno, chi conta all'interno della stessa) non chiede allo Stato di farsi da parte e lasciar fare alle imprese, bensì anela a fare affari con lo Stato stesso, meglio se al riparo dalla concorrenza.
Dietro alla parola "flessibilità" non c'è altro che deficit pubblico aggiuntivo, che prima o poi qualcuno dovrà pagare. Perché pasti gratis non ve ne sono, checché qualcuno continui a crederlo o a volerlo far credere agli altri.
Come ho evidenziato più volte, per chi crede che il Pil prodotto in deficit sia salutare non è mai il momento di contenere il disavanzo. Guai a farlo quando si è in recessione, e neppure quando le cose vanno meno peggio. Il miglior momento per sistemare il bilancio dello Stato è sempre domani.
Uno dei motivi di discussione in queste settimane tra il governo italiano e la Commissione Ue riguarda le spese sostenute per salvare e fornire assistenza alle migliaia di persone più o meno disperate che attraversano il Mediterraneo in direzione Italia. Da quando Angela Merkel, la scorsa estate, ha dichiarato di accogliere in Germania tutti i profughi siriani che vi si recassero, il flusso di persone che transita dalla Turchia non ha fatto altro che aumentare.
Nel tentativo di rallentare gli arrivi, anche a seguito di un calo di popolarità interna, Merkel ha fatto pressione affinché la Ue fornisse assistenza alla Turchia per 3 miliardi. Fuori dalle ipocrisie, si tratta di un pagamento fatto al governo turco per limitare i flussi verso l'Europa, Germania in primis.
La Germania ha sostanzialmente imposto a tutti i Paesi Ue di partecipare pro quota al pagamento. Di qui la richiesta italiana dapprima di scomputare quei soldi dal conto del deficit. Poi di considerare fuori dal deficit anche le altre spese sostenute per il salvataggio dei migranti provenienti dall'Africa via Mediterraneo.
In effetti non si vede per quale motivo i soldi da dare alla Turchia debbano gravare pro quota su tutti, mentre le missioni nel Mediterraneo debbano essere a carico esclusivamente di chi le fa. Ciò detto, si può anche far finta che il denaro speso per questo o quel motivo non vada contabilizzato nel calcolo del deficit, ma ciò non fa altro che occultare una parte dello stesso deficit e, di conseguenza del debito pubblico.
Così come non è facendo deficit che si produce crescita economica (nella migliore delle ipotesi, si anticipa un po' di Pil futuro), non è stabilendo convenzionalmente che il deficit non esiste che si risolve il problema. Nessuna flessibilità può modificare la realtà.
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