Scorie - IPCR? No, grazie

"Alla luce di quanto successo con il dissesto delle quattro banche italiane, i cittadini hanno ancora meno fiducia negli istituti di credito. Se a ciò si aggiungono le recenti norme sul bail-in, lo Stato ha l'obbligo, se vuole mantenere invariato il quadro normativo, di creare un Istituto Pubblico di Credito e Risparmio."
(A. Siri)

Mi è già capitato di commentare alcune proposte di Armando Siri, consigliere economico della Lega Nord. Solitamente sono improntate a un misto di dirigismo e statalismo. Anche questa volta il mix è lo stesso.

Siri parte dal calo di fiducia dei cittadini nei confronti delle banche; una situazione peggiorata notevolmente da novembre a oggi, a causa delle perdite subite da azionisti e possessori di obbligazioni subordinate nelle quattro banche sottoposte a procedura di risoluzione e alla definitiva entrata in vigore della direttiva Ue BRRD, con tanto di famigerato bail-in, o salvataggio interno a carico di azionisti e creditori della banca.

A suo parere lo Stato dovrebbe tornare a fare il banchiere, una soluzione da anni Trenta del secolo scorso. Cosa sarebbe in pratica questa nuova banca pubblica?

"Sarebbe una banca abilitata a raccogliere il risparmio degli italiani, a effettuare solo operazioni garantite dallo Stato e a destinare una parte delle risorse agli impieghi a sostegno dei mutui immobiliari e micro impresa."

Di fatto chi volesse la garanzia statale sui propri risparmi potrebbe depositarli nel nuovo IPCR, che farebbe anche credito, ma solo mutui immobiliari e prestiti a micro imprese. Siri ritiene che la nuova banca pubblica sarebbe necessaria perché la parziale privatizzazione di Poste Italiane finisce per privatizzare i profitti e socializzare le perdite. Quindi avanti con un nuovo carrozzone pubblico.

Chiaramente le banche private si troverebbero a competere a condizioni svantaggiose, il che non depone a favore di un miglioramento generale della loro situazione economica e finanziaria, che pure è un bel problema non solo per i loro azionisti e creditori. E il rischio a carico del contribuente sarebbe uscito dalla porta per rientrare dalla finestra dell'IPCR.

Quanto al collocamento di prodotti finanziari, secondo Siri

"Le banche dovrebbero avere l'obbligo di indicare in modo inequivocabile il grado di rischio su ogni contratto di sottoscrizione di titoli. Sarà compito della Banca d'Italia stilare una lista con i titoli commercializzati indicando il grado di rischio e imponendo alla Banca la dicitura sui contratti."

Qualcuno lo informi che già a normativa vigente le banche hanno l'obbligo di informare preventivamente il cliente sulle caratteristiche del prodotto, tra cui il grado di rischio. Che questo non sempre sia fatto in modo corretto è più che probabile, ma non serve istituire nuove norme in tal senso.

Quanto al fatto che sia la Banca d'Italia a determinare il grado di rischio, credo che la stessa banca centrale non vorrebbe assumere un compito del genere. Ufficialmente per motivi di inopportunità istituzionale o altre argomentazioni simili, ma sostanzialmente perché poi sarebbe responsabile delle indicazioni fornite. E se c'è una cosa che nessun organismo burocratico vuole è essere responsabile di qualcosa (lo scaricabarile tra Banca d'Italia, Consob e politica degli ultimi mesi dovrebbe rendere tutto ciò evidente). Pertanto la definizione del grado di rischio dei prodotti (tra l'altro variabile nel tempo) è una responsabilità che preferisce lasciare alle singole banche. Le quali suppongo sarebbero ben liete di esternalizzare la definizione dei gradi di rischio, perché per loro sarebbe un rischio legale in meno da gestire.

Ma Siri ha mille altre idee. Per esempio:

"Dovrebbe poi essere costituito un fondo interbancario presso Bankitalia fra tutti gli istituti privati in concorrenza tra di loro pro-quota, a seconda dell'ammontare della raccolta di ciascuno e capace di coprire le ripercussioni di un eventuale dissesto di una o più banche."

Qualcuno lo informi che con la BRRD è stato già istituito un fondo del genere: si chiama fondo di risoluzione, ed è con i versamenti (anche anticipati sugli anni a venire) che le banche hanno fatto a quel fondo che le perdite a carico dei clienti delle banche oggetto di risoluzione non sono state maggiori.

Per di più è illusorio credere che un fondo del genere possa far fronte alla crisi sistemica o di un grande intermediario. L'unico antidoto a crisi di quel tipo sarebbe l'abolizione della riserva frazionaria, che però gran parte di coloro che si lamentano dei rischi delle banche non vuole neppure sentire menzionare, perché a quel punto ci sarebbe molto meno credito creato dal nulla. E ovviamente i depositi dovrebbero avere un costo per il depositante, non un (seppur minimo) tasso di interesse positivo.

Altra proposta di Siri:

"Infine un capitolo va destinato al mercato dei titoli di Stato. La Bce ha deciso di acquistare sul mercato primario una quantità di debito degli Stati, ma una grossa fetta è ancora in "pancia" a soggetti finanziari stranieri che possono determinare un nuovo 2011 da un momento all'altro."

Posto che la Bce non acquista sul mercato primario (ossia in asta di emissione), bensì sul mercato secondario, il problema semmai è che le banche italiane hanno troppi titoli di Stato italiani, il che fa sì che i guai delle banche siano guai per lo Stato e viceversa.

Evidentemente Siri la pensa diversamente:

"Su questo punto occorre, come abbiamo proposto in un emendamento alla legge di Stabilità, una modifica normativa sulla gestione delle aste di collocamento del nuovo debito: non più del 10% dovrebbe essere acquistato da soggetti stranieri. Il restante potrà essere collocato presso gli investitori istituzionali e il pubblico indistinto, i quali dovranno però godere di un'ulteriore agevolazione fiscale riducendo l'aliquota della ritenuta dal 12,50 al 6,50% e ottenendo un maggior tasso di interesse, in una forbice tra lo 0,25 e l'1% rispetto ai titoli collocati all'estero. I titoli destinati al mercato nazionale non potranno essere poi oggetto di contrattazioni verso l'estero, ma solo verso il mercato interno."

Un'idea neppure originale, sostenuta da tempo in forme simili da altri economisti ultra keynesiani (per esempio Richard Koo di Nomura). Un inutile provvedimento dirigista, che non farebbe altro che distorcere le scelte di investimento degli investitori italiani, a danno degli altri emittenti, sia domestici, sia esteri. Con l'effetto di accrescere il rischio per gli investitori domestici di essere poi tosati mediante un default mascherato da imposizione patrimoniale, qualora il debito fosse in gran parte "internalizzato".

Siri conclude così:

"Queste sono alcune proposte utili a un confronto fra quelle forze politiche che abbiano la volontà di trovare una soluzione coraggiosa allo stato immunosoppressivo in cui versa la povera, ma non ancora sconfitta, Italia."

La sconfitta definitiva verrebbe dopo.


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