Scorie - Risparmiateci lo Stato innovatore

"Con un pensiero e un'ingegneria istituzionale più creativi anche stavolta potremmo salvare il capitalismo da se stesso."
(D. Rodrik)

Dopo aver sostenuto che il welfare state ha salvato il capitalismo da se stesso nel XX secolo, Dani Rodrik ipotizza che servano oggi "un pensiero e un'ingegneria istituzionale più creativi" per realizzare un nuovo salvataggio nel XXI secolo.

Confesso che quando sento parlare di "ingegneria" riferita allo Stato ho una sorta di reazione allergica, considerando i danni e le limitazioni alla libertà che questa ha comportato nel corso della storia.

Dunque, a cosa si riferisce Rodrik? Si riferisce allo Stato come motore di innovazione, delle quali poi beneficerebbero i cittadini. Ecco cosa ha in mente:

"Immaginiamo che lo Stato crei un certo numero di fondi pubblici di capitale di rischio, gestiti professionalmente, con partecipazioni in un'ampia fascia di nuove tecnologie, raccogliendo i fondi necessari con l'emissione di obbligazioni sui mercati finanziari. Quei fondi seguirebbero le regole del mercato e dovrebbero rendere conto periodicamente alle autorità politiche (specialmente quando il tasso complessivo di rendimento non raggiunge una certa soglia), ma per il resto manterrebbero la loro autonomia."

Lo Stato dovrebbe quindi aumentare il debito pubblico per finanziare fondi che investano in nuove tecnologie. Fondi gestiti secondo "regole di mercato", dovendo però rendere conto alle autorità politiche invece che a soggetti che abbiano investito volontariamente capitali propri.

Qui ovviamente sorge il primo problema: come lo stesso Rodrik riconosce, si deve trattare di investimenti i cui rischi nessun privato sarebbe disposto a correre volontariamente. Questo significa che si esce da logiche di mercato. Come fare allora?

"Costruire le istituzioni giuste per gestire a livello pubblico capitali di rischio, può essere difficile, ma si può seguire il modello delle banche centrali per operare indipendentemente dalle pressioni politiche quotidiane. La società, attraverso il suo agente ovvero il governo, potrebbe finire per diventare comproprietaria di una nuova generazione di tecnologie e di macchine."

Se il modello deve essere quello delle banche centrali, c'è poco da stare allegri. Tra l'altro si tratterebbe di un'attività ben diversa da quella di emettere denaro fiat in regime di monopolio. In ogni caso, resta il fatto che chi governa ha interessi ben diversi da quello di ottenere rendimenti dal denaro investito, dato che i rischi ricadono sui contribuenti, ai quali non è ovviamente concesso astenersi dall'assumere una quota parte di rischio.

Rodrik è comunque ottimista:

"La percentuale dei proventi ottenuti dalla commercializzazione delle nuove tecnologie tornerebbe ai cittadini sotto forma di dividendi di "innovazione sociale" e quel flusso di entrate andrebbe a incrementare gli stipendi e permetterebbe anche di ridurre le ore di lavoro, avvicinandosi al sogno di Marx di una società dove il progresso tecnologico permette a ogni individuo di «andare a caccia al mattino, a pescare il pomeriggio, badare al bestiame la sera e fare il critico dopo cena». Lo stato sociale è stata l'innovazione che ha democratizzato – e dunque stabilizzato – il capitalismo del XX secolo. Il XXI secolo dovrà affrontare un passaggio analogo, avviandosi verso uno "stato dell'innovazione"."

In pratica Rodrik pensa a un sistema collettivista, in cui i proventi dello Stato innovatore fanno vivere nella bambagia tutti quanti. Pare non sfiorarlo neppure l'idea che al posto dei proventi potrebbero esserci perdite. E pensa addirittura che verrebbe realizzato il sogno di Marx, nonostante in oltre 150 anni chiunque abbia tentato di realizzarlo abbia condannato a vite da incubo i concittadini, comprimendone più o meno totalmente la libertà.

I fallimenti dello Stato sociale stanno ormai venendo a galla, come per qualsiasi schema Ponzi. Spero proprio che lo Stato innovatore ci venga risparmiato.


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