Scorie - Investimenti
"La difesa delle generazioni future è un sentimento nobile e lungimirante… Ma le ragioni delle generazioni future vengono spesso tirate in ballo anche impropriamente. Se ne sono così impadroniti i sostenitori del rigore in tutte le stagioni. Certo, è sacrosanto denunciare politiche che aumentano il fardello del debito pubblico per i giovani senza alcun corrispettivo a loro favore. È questo il caso di gran parte della spesa corrente (chiamata così non a caso), per la cui riduzione si continua a fare troppo poco, con buona pace di spending review che vanno e vengono. Ma è fuorviante parlare negli stessi termini della spesa per investimenti, della spesa cioè in conto capitale (di nuovo, termine non a caso)."
(A. Leipold)
Alessandro Leipold, una carriera passata tra Unione europea e FMI, è tra i fautori della ripresa degli "investimenti per la crescita". Mantra largamente diffuso tra coloro che, in un sistema di autentico libero mercato, non avrebbero potuto passare decenni in posizioni ben pagate con le tasse pagate da altri e non esposte al giudizio dei consumatori.
Secondo Leipold sarebbe irresponsabile non già lasciare in eredità alle generazioni future l'alto fardello del debito, bensì Paesi con infrastrutture e servizi pubblici inadeguati.
Per questo ricorre alla distinzione tra spesa pubblica corrente e per investimenti, altro cavallo di battaglia dei keynesiani "coscienziosi". Si riduca la prima e si aumenti la seconda, è la ricetta di costoro.
Il problema è che i governi vorrebbero aumentare la seconda senza ridurre la prima. E questo in base alla semplice osservazione della realtà attuale e della storia del Novecento.
Supponendo, tuttavia, che il mix di spesa corrente e per investimenti fosse adeguato in base agli auspici dei Leipold di questo mondo, resta il fatto che non si vede per quale motivo gli investimenti li debba fare lo Stato. Gli interventisti sostengono che certi investimenti i privati non li farebbero.
Occorre capire il perché. Se i privati non fanno certi investimenti perché non vi è una adeguata domanda per i beni e servizi derivanti dagli stessi, è evidente che ci si trova di fronte alla mera imposizione della volontà del governante (e dei suoi illuminati consiglieri).
Se, viceversa, i privati non investono a causa di burocrazia e tasse, allora sarebbe meglio rimuovere questi ostacoli invece di lasciarli in essere e caricare sul contribuente (presente e futuro) gli oneri connessi agli "investimenti".
Quegli stessi contribuenti per i quali il fardello del debito è già piuttosto pesante.
(A. Leipold)
Alessandro Leipold, una carriera passata tra Unione europea e FMI, è tra i fautori della ripresa degli "investimenti per la crescita". Mantra largamente diffuso tra coloro che, in un sistema di autentico libero mercato, non avrebbero potuto passare decenni in posizioni ben pagate con le tasse pagate da altri e non esposte al giudizio dei consumatori.
Secondo Leipold sarebbe irresponsabile non già lasciare in eredità alle generazioni future l'alto fardello del debito, bensì Paesi con infrastrutture e servizi pubblici inadeguati.
Per questo ricorre alla distinzione tra spesa pubblica corrente e per investimenti, altro cavallo di battaglia dei keynesiani "coscienziosi". Si riduca la prima e si aumenti la seconda, è la ricetta di costoro.
Il problema è che i governi vorrebbero aumentare la seconda senza ridurre la prima. E questo in base alla semplice osservazione della realtà attuale e della storia del Novecento.
Supponendo, tuttavia, che il mix di spesa corrente e per investimenti fosse adeguato in base agli auspici dei Leipold di questo mondo, resta il fatto che non si vede per quale motivo gli investimenti li debba fare lo Stato. Gli interventisti sostengono che certi investimenti i privati non li farebbero.
Occorre capire il perché. Se i privati non fanno certi investimenti perché non vi è una adeguata domanda per i beni e servizi derivanti dagli stessi, è evidente che ci si trova di fronte alla mera imposizione della volontà del governante (e dei suoi illuminati consiglieri).
Se, viceversa, i privati non investono a causa di burocrazia e tasse, allora sarebbe meglio rimuovere questi ostacoli invece di lasciarli in essere e caricare sul contribuente (presente e futuro) gli oneri connessi agli "investimenti".
Quegli stessi contribuenti per i quali il fardello del debito è già piuttosto pesante.
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