Scorie - Marketing, comunicazione e supercazzole

Leggo sempre con interesse, misto a scetticismo, gli articoli che si occupano di comunicazione e marketing. E qui devo subito precisare che, fin dai tempi dell'università, evitai accuratamente il percorso in marketing, perché mi sembrava intriso di supercazzole. Un giudizio indubbimente troppo drastico, ma tant'è.

Però poi leggo cose di questo tipo:

"Oggi l'azienda non solo fa politica, ma risponde alle sfide sociali posizionandosi rispetto al purpose. Guarda a ciò che accade all'esterno, si interroga sui sistemi di welfare, si colloca come attore sociale. Emerge una consapevolezza forte: le organizzazioni non sono più soltanto luoghi di trasformazione del valore finanziario, ma accompagnano la società nelle sfide sociali. È lo stakeholders capitalism che spinge gli investitori ad assumere un ruolo da attivista, prendendo posizione sui temi del momento. Siamo in una fase di transizione e il ruolo delle aziende non è più confinabile alla mera azione finanziaria. In ballo c'è la ridefinizione di un nuovo ruolo di leadership che si interroga su ciò che accade al di fuori dei confini dell'azienda e ne restituisce senso. Comunicare diventa una competenza strategica in tutte le realtà e non si lega soltanto a prodotti e servizi, ma anche alla funzione di quei leader aziendali che hanno la necessità di avviare un percorso chiaro di storytelling, esprimendo valori e posizioni definite. Certamente cambiano gli stili e le intonazioni, ma ormai tutti entrano nel merito di tematiche politiche, legandosi agli accadimenti del tempo e provando a incidere di più."

Parole di Paolo Boccardelli, Rettore dell'Università Luiss ed esperto della materia.

Devo dire che non riesco a non confermare il giudizio che avevo ormai cinque lustri fa. Anche sforzandomi, proprio non ci riesco. 

Partiamo dal fare politica e dal purpose. Nulla, per quanto farcito di supercazzole, può cambiare un fatto: un'azienda resta sul mercato se soddisfa i clienti, i quali, escludendo minoranze magari rumorose, ma pur sempre minoranze, sono interessati al prodotto, non al purpose di chi lo offre.

Si può accomoagnare la società nelle sfide sociali (qualunque cosa voglia dire) finché si vuole, ma se altri offrono prodotti che incontrano meglio i gusti dei consumatori, il fatturato langue, e non c'è comunicazione che tenga.

Sullo stakeholder capitalism non vorrei perdere tempo: va bene considerare gli stakeholders più vari, a patto che chi mette i soldi sia d'accordo e, soprattutto, che sia compatibile con i risultati finanziari. Altrimenti si esce dal mercato.

Quanto allo storytelling, quelli di molti leader (parola abusata) aziendali altro non sono che un omaggio al politically correct, spesso privi di qualsivoglia originalità e perfino banali. Non a caso, poi, commentati positivamente o applauditi per lo più da sottoposti in cerca di compiacere il capo.

Tutto come ai tempi di Fantozzi, solo con mezzi diversi. Perché certe cose non cambiano mai, evidentemente.

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