Scorie - Quali spese intelligenti?




Qualche giorno prima in cui fosse deciso dal governo di puntare a un obiettivo di deficit pari al 2.4% del Pil, rispondendo alle domande di una delle innumerevoli interviste che rilascia, Matteo Salvini ha detto, tra le altre cose:

"Guardi che a me piacerebbe essere il ministro all'Economia che cambia il passo. Essere il primo, dopo anni di manovre restrittive, a firmare un bilancio espansivo. Non possiamo mai dimenticarci un numero: le manovre soffocanti hanno aumentato il debito di 250 miliardi in 5 anni. Ormai è chiaro: se il Paese non cresce, il debito aumenta. Se cresce, il debito si riduce. Se fossi in Tria, chiederei a Salvini e Di Maio di fare spese intelligenti."


Salvini manda a memoria la lezione dei suoi guru Borghi e Bagnai. In questo, va detto che chi governa oggi non dice cose diverse da chi governava ieri. Per anni Padoan ha detto sostanzialmente le stesse cose sulla discesa del debito, sia pure con toni diversi.

Il tutto parte dalla ipotesi implicita che il debito non possa (né debba) scendere in valore assoluto, ma solo in rapporto al Pil. Una ipotesi che non è affatto l'unica possibile, anche se per ridurre il debito in valore assoluto servirebbe una determinazione nel ridimensionamento del peso dello Stato che ben difficilmente è ragionevole attendersi da chi governa (non solo oggi).

Ciò che, però, è abbastanza non credibile, è che un Paese con il debito delle dimensioni di quello italiano in rapporto al Pil possa abbassare tale rapporto mediante una crescita del denominatore superiore a quella del numeratore passando per un aumento del deficit che determina, appunto, un aumento del numeratore.

La favola dei keynesiani sgangherati al potere consiste nel garantire che gli investimenti finanziati in deficit abbiano un moltiplicatore sul Pil tale da ridurre il rapporto tra debito e Pil se non subito, a partire dal secondo anno.

Peccato che finora non abbia mai funzionato quando tale rapporto non era ai livelli attuali e che l'andamento dei rendimenti dei titoli di Stato testimoni che solo i governanti credono che sia possibile che si realizzi ciò che dicono.

Quanto alle domande che dovrebbe fare Tria, non gli si può chiedere di chiedere l'impossibile.
 "Se io domenica mattina vado a votare - ha sottolineato il Cardinale- è perché sono convinto che esista un bene comune che riguarda te, riguarda tutti noi. Siamo un 'noi' di cui dobbiamo tenere conto. E mi fa paura, invece, questo atteggiamento individualistico, in fondo, di non scegliere. E, poi, quante nazioni ci sono nel mondo dove non si vota, dove c'è una testa che ha già pensato tutto... In fondo noi viviamo in una democrazia... E' un valore aggiunto anche la democrazia. In democrazia senti cose dritte, senti cose storte, senti cose che condividi e non condividi... Certamente tutti abbiamo il dovere di informarci, di farci una coscienza. Il voto è esprimere un giudizio".


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