Scorie - Non è abolendo il Fiscal Compact che si risolvono i problemi




La quasi totalità dei partiti che in queste settimane stanno chiedendo agli italiani che ne hanno diritto di votarli alle elezioni del prossimo 4 marzo ha posizioni variamente keynesiane in economia. Il "quasi" è dovuto al fatto che ci sono anche posizioni più orientate al marxismo. Di liberalismo non v'è traccia, se non ci si lascia confondere dalle etichette.

Gustavo Piga accoglie con soddisfazione l'opposizione pressoché unanime al Fiscal Compact, che prevede la riduzione dell'eccesso di debito rispetto al limite del 60% del Pil in un ventennio. Indubbiamente una regola che comporta sacrifici per chi è molto indebitato. Non ci si deve stupire, tuttavia, se chi ha meno debiti ne pretenda l'applicazione prima di farsi carico in parte anche dei debiti altrui.

Secondo Piga, dunque, "l'establishment politico italiano ha finalmente battuto un pugno sul tavolo che non passerà inosservato nelle stanze ovattate di Bruxelles, tanto più che esso ha la forza del peso della pressoché totale unanimità delle forze politiche nazionali e che l'Italia ha, in tale circostanza, potere di veto."

Politicamente l'Italia, al pari di tutti gli altri membri della Ue, ha potere di veto. Ma non ha alcun potere di imporre il collocamento dei propri titoli di debito pubblico a tassi ridotti. Quindi è illusorio pensare che la indisciplina di bilancio non avrebbe conseguenze, al di là del Fiscal Compact.

Ancora Piga:

"Si sente spesso dire che la ripres(in)a in corso ha reso irrilevante il dibattito sulla nostra costituzione fiscale europea e che è inutile continuare a parlare di combattere l'austerità in questi periodi di vacche grasse (sic). Non è così. La battaglia contro il Fiscal Compact deve continuare perché, lezione drammaticamente evidente che ci ha lasciato il passato decennio, esso non è stato costruito per fronteggiare le crisi. Anzi, le peggiora, mettendo a rischio non solo la costruzione europea ma la vita e la felicità di tantissimi individui, specie i più fragili e indifesi, aggravando le ineguaglianze e sfibrando il tessuto sociale di un Paese. Non è dunque una battaglia per migliorare il presente, ma per costruire il futuro."

Purtroppo questo è un punto di vista ampiamente diffuso in Italia, nonostante l'evidenza empirica confermi ciò che il buon senso suggerisce, ossia che una prosperità reale non può essere basata sul debito. A maggior ragione se si ragiona pensando ai "fragili", magari che siano anche giovani.

Chi suppone che si possa scaricare il debito sui pagatori di tasse di altri Paesi non fa che illudersi e, ciò che è peggio, illudere coloro che dice di voler tutelare.

Se il tassa e spendi funzionasse, a prescindere da considerazioni sull'eticità della pratica, non dovremmo essere il Paese più prospero della Ue?


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