Scorie - Il (nauseabondo) marketing DEI
Uno dei paradossi del dogma (perché di quello si tratta) della Diversity Equity and Inclusion è la sostanziale intolleranza verso coloro (e non di rado sono la maggioranza) che non condividono la sue forzate sovrarappresentazioni di minoranze in contesti nei quali, nel mondo reale, la loro presenza è, appunto minoritaria.
Al posto della tolleranza e dell'adesione al principio di non aggressione, si vuole imporre a tutti quanti un concetto di inclusione che finisce per generare reazioni allergiche anche in coloro che non hanno nessun pregiudizio nei confronti delle minoranze che il dogma ritnene debbano essere per forza incluse in ogni contesto.
E così i fautori del dogma si stupiscono se una maggioranza di persone non gradisce che gli assistenti vocali abbiano una voce "non binaria", ossia non nitidamente da uomo o da donna.
Un fenomeno che le Nazioni Unite (e questo dovrebbe far riflettere sull'utilità di questa istituzione) ritengono "una stortura". Ma il fatto è che, nella vita di tutti i giorni, le perosno sentono voci maschili o femminili, e solo in casi estremamente rari "non binarie".
Ma secondo Kurt Munz, assistant professor al Dipartimento di marketing dell'Università Bocconi, "ciò non significa che queste voci debbano essere evitate. Al contrario, la nostra ricerca suggerisce che consentire di avere una maggiore esposizione a queste voci può farle sembrare più familiari".
Il che equivale, a mio parere, a scoprire l'acqua calda. Ma il punto è: per quale motivo il "non evitare" deve diventare "sovraesporre"?
C'è una grande differenza tra il favorire la tolleranza (sacrosanta) e, viceversa, diventar eintolleranti verso coloro che, semplicemente, non ritengono di dover sovrarappresentare questa o quella categoria di persone in nome di una inclusione che spesso è solo di facciata e, appunto, strumento di marketing.
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