Scorie - Come non uscire da una balance sheet recession

Paragonando i recenti sviluppi dell'economia cinese con l'esperienza giapponese a partire dai primi anni Novanta (dopo lo scoppio di una enorme bolla su immobili terreni e attività finanziarie), Richard Koo ritiene che la Cina si trovi in una "balance sheet recession", ossia in una situazione in cui famiglie e imprese hanno debiti superiori al valore delle attività acquistate mediante quei debiti. Attività che nel frattempo si sono più o meno fortemente svalutate, creando stress finanziario (e anche insolvenze). 

In una situazione del genere ogni risorsa non consumata viene destinata a ripagare il debito, quindi la domanda di credito è bassa anche in presenza di tassi di interesse azzerati o negativi. 

Secondo Koo, in presenza di una "balance sheet recession" si crea una spirale deflattiva, perché il settore privato produce un eccesso di risparmio che non viene investito. Deve quindi intervenire il debitore di ultima istanza, ossia lo Stato, che emette titoli di debito e finanzia spesa pubblica per mantenere a galla l'economia.

Il ragionamento è tipicamente di stampo keynesiano e, nonostante siano ormai 15 anni che leggo Koo con cadenza mensile, devo dire che continuo a stupirmi di quanto non prenda in considerazione almeno due macro evidenze: la prima è la confusione tra ricchezza monetaria e reale, che non si elimina mediante il deflatore del Pil.

La seconda, se possibile ancora più macroscopica, è che la stabilizzazione del Pil nominale non avviene a costo zero: semplicemente si gonfia il debito pubblico, cheprima o poi deve essere pagato, o mediante tasse esplicite, o mediante inflazione (le due cose non si escludono vicendevolmente).

Proprio l'esempio del Giappone è emblematico: alla fine del 1989 il debito publbico era pari al 65% del Pil, mentre quest'anno sarà pari al 255%. Gli aggiustamenti necessari dopo lo scoppio della bolla (derivante da anni di politica monetaria lassista), per quanto dolorosi, non sono stati eliminati, ma solo rimandati, aumentandone le dimensioni.

Non mi stupirei se la Cina seguisse le orme del Giappone, ma non sarebbe un buon esempio da seguire.

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