Scorie - Quale coraggio?
Che il socialismo non funzioni e non possa funzionare, anche a prescindere dal pur non trascurabile impatto che ha sulla libertà delle persone, è stato dimostrato un secolo fa, prima ancora che la storia registrasse diversi esempi di fallimento laddove fosse praticato.
Ludwig von Mises contribuì in modo fondamentale dimostrando l'impossibilità del calcolo economico in un regime integralmente socialista. Friedrich von Hayek evidenziò il problema dei limiti della conoscenza che inevitabilmente ha un individuo o un gruppo ristretto di individui, mentre in un sistema di scambi volontari come il libero mercato, la formazione dei prezzi sintetizza le conoscenze diffuse tra una moltitudine di individui.
Nei sistemi per lo più misti che caratterizzano il mondo d'oggi, i socialisti non hanno la pretesa di eliminare il mercato, bensì di indirizzarlo, correggendone i presunti fallimenti in funzione del raggiungimento di obiettivi ritenuti buoni e giusti per tutti quanti. Ovviamente resta la presunzione di sapere cosa sia bene per tutti, oltre alla convinzione che sia "giusto" perseguire tali obiettivi imponendo obblighi e divieti mediante la legislazione.
La transizione verde europea è uno degli innumerevoli esempi di sociaismo del XXI secolo. Si parte da dati scientifici, ridicolizzando ed emarginando quella parte di comunità scientifica che non è allineata, nonché tacciando di negazionismo tutti coloro che non condividono l'approccio politico alla questione.
L'esempio tipico è mettere sullo stesso piano sia chi nega che le temperature medie stiano aumentando, sia chi non nega questa evidenza, ma non ritiene che tutto sia imputabile all'azione umana e, soprattutto, non condivide il metodo con cui la questione è affrontata.
Il fatto è che il futuro resta in ogni caso imprevedibile, mentre i fautori della transizione alla Frans Timmermans pretendono di avere certezze su ciò che accadrà fra decenni, imponendo costi molto più quantificabili rispetto ai benefici ragionevolmente ipotizzabili (e per loro certi).
Non c'è nulla di male quando un individuo o un gruppo di individui ha una convinzione sul futuro e mette a rischio se stesso e risorse proprie (tipico dell'attività d'impresa) per raggiungere un obiettivo. Cosa ben diversa è avvalersi del potere politico per imporre ad altri la propria visione.
Quando ci si imbatte in articoli a sostegno di questa transizione politicamente imposta, generalmente sono chiari i costi, molto meno i benefici, soprattutto per chi i costi li deve sostenere.
Scrive, per esempio, Barbara Lilla Boschetti, docente di Diritto amministrativo all'Università Cattolica di Milano e presidente del RecoveryLab:
"Essere capaci di tagliare le emissioni nette di gas a effetto serra del 55% entro il 2030, in linea con quanto prescrive la Legge europea per il clima (Reg. Ue, 2021/1119), sarà ora possibile anche grazie al Fondo sociale per il clima da poco passato al vaglio del Parlamento europeo e del Consiglio (Reg. Ue 2023/955). Il Fondo è un tassello essenziale del pacchetto "Fit for 55" in quanto dimostra che la transizione ecologica è giusta non solo per il futuro che promette, ma per come essa si realizza, a partire da oggi. Una giustizia dell'essere in transizione, declinabile in tre parole chiave: equità, inclusività, sostenibilità, secondo quanto indicato dall'art. 2, Reg. Ue 2021/241 (quello, per intenderci, che governa la presentazione/modifica del Pnrr e l'accesso ai fondi europei del Ngeu)."
Ora, che l'istituzione di un fondo, ancorché definito "sociale", renda evidente che la transizione ecologica sia "giusta", a me pare soggettivo. A mio parere, per esempio, per essere "giusta" dovrebbe non violare il principio di non aggressione. E non è (né potrebbe esserlo) questo il caso.
Prosegue Boschetti:
"Questa duplice giustizia delle transizioni richiede, però, coraggio, tanto nel disegnare orizzonti ambiziosi, visionari, realmente trasformativi («è l'ora della svolta», come ci ha ricordato Papa Francesco), quanto nell'individuare, entro quegli orizzonti, soluzioni concrete, di breve, medio-lungo termine, traiettorie reali e progressive, che giocano su una pluralità di piani: scientifico e tecnologico, economico e industriale, ma anche, e soprattutto, umano e sociale. Un coraggio dalla sostanza politica, richiesto, in prima battuta, ai decision-makers (così l'Evp Timmermans il 13.07.2023 in occasione del Ministerial on climate action)."
Il coraggio, a mio parere, serve quando si rischia in proprio. Quando si persegue un obiettivo imputando ad altri i costi (compresi quelli del fallimento) senza che costoro possano fare nulla per evitarlo, non mi pare sia coraggioso.
E in effetti:
"Questo coraggio, finora, non è mancato. Non è mancato, innanzitutto, il coraggio di proseguire, anzi accelerare, nella direzione della neutralità climatica, nonostante la guerra Russia-Ucraina e la crisi energetica da questa innescata (il pacchetto è stato proposto dalla Commissione europea il 14 luglio 2021), nel segno dell'urgenza esistenziale della transizione ecologica e di cui è espressione il Green Deal europeo. Non è mancato, inoltre, il coraggio di includere nelle strategie di riduzione delle emissioni un numero sempre maggiore di settori – questa è, appunto, la volta dei trasporti (marittimi e su strada), nonché degli edifici – anche quando si tratti di settori "scomodi", politicamente parlando: settori che toccano da vicino attori economici forti, o già in crisi, ma soprattutto milioni di cittadini, famiglie e, in generale, utenti dei trasporti."
Queste, lo ripeto, non sono manifestazioni di coraggio, ma di prepotenza.
"Non è mancato, infine, il coraggio – questo il punto chiave – di prendere sul serio la transizione ecologica, facendosi carico dei costi economici e sociali che da questa possono derivare nello iato temporale che ci separa dal risultato finale, con i suoi benefici attesi. Se il pacchetto "Fit for 55" è una scelta strategica, e al tempo stesso ineludibile, con effetti assolutamente positivi nel medio-lungo periodo, sia per lo sviluppo della net-zero economy europea e di milioni di nuovi posti di lavoro, sia per la lotta contro la povertà energetica e la povertà dei trasporti (che il Regolamento definisce, in termini originali, come incapacità o difficoltà di sostenere il costo di trasporti pubblici o privati o di accedere ai trasporti per il godimento di servizi o attività socioeconomiche essenziali): ebbene, se tutto questo è vero, è altrettanto inevitabile che questo percorso sia destinato a pesare nel breve medio-periodo, in modo sproporzionato, su individui, famiglie, microimprese e utenti dei trasporti vulnerabili."
Gli "effetti assolutamente positivi nel medio-lungo periodo" sono frutto di valutazioni politiche, per di più trattandosi di benefici che, lo devono riconoscere anche i fautori più convinti, sono solo "attesi".
Sui milioni di nuovi posti di lavoro sarebbe poi necessario capire come sia effettuata la stima. L'impressione è che sia un dato lordo, e non al netto di quelli persi.
Quanto ai (bontà loro) riconosciuti effetti negativi di "breve medio periodo", in attesa del sole dell'avvenire, ecco la soluzione del fondo sociale per il clima.
"A questo scopo vengono messi sul piatto a livello Ue 65 mld, finanziati attraverso parte dei fondi che derivano appunto dall'estensione del sistema Ets ai settori in questione. Risorse per un aiuto immediato al reddito (ma necessariamente temporaneo: 2026-2032) e per investimenti che riducono la dipendenza da combustibili fossili, orientati all'efficienza energetica degli edifici (indipendentemente dalla proprietà) e all'accesso a una mobilità a zero emissioni (attraverso buoni, sovvenzioni e prestiti a tasso zero)."
Ovviamente ciò che viene messo sul piatto è stato preso e sarà preso dal piatto di altri. Anche questa sarebbe manifstazione di coraggio.
"La palla del coraggio (e della giustizia), ora, passa agli Stati: per accedere e mettere in campo le risorse del Fondo sociale per il clima, gli Stati dovranno presentare alla Commissione il proprio "piano sociale per il clima" (entro il 30 giugno 2025), in cui dettagliare investimenti e misure di sostegno. Lo stile delle regole europee è quello appreso, e messo a punto, nella gestione dei fondi legati al Ngeu, a partire dal riconoscimento di una certa flessibilità nell'apportare aggiustamenti ai piani e del principio di addizionalità nell'uso dei fondi europei. Anche per questo, il Pnrr rimane un banco di prova fondamentale per dimostrare di essere pronti a questa doppia sfida di giustizia, quella di ciò che vogliamo diventare e del modo in cui vi arriveremo. Il tempo del "Fit for 55" è oggi."
Vale quanto già detto. Che sia a livello comunitario o statale, non è coraggioso, men che meno giusto, perseguire obiettivi ponendo a carico i costi, in senso lato, su altri. In sintesi, non è coraggioso fare i socialisti. E se la storia insegna qualcosa, neppure funziona.
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