Scorie - Erdogan docet

Da più parti, a sud delle Alpi ma non solo, si sostiene che la politica monetaria restrittiva sia lo strumento sbagliato per contrastare l'inflazione dei prezzi al consumo in Europa, perché sarebbe, a seconda dei casi un'inflazione da carenza di offerta o un'inflazione da costi.

A questa seconda lettura aderiscono Giovanni Scanagatta e Stefano Sylos Labini, secondo i quali la politica di rialzo dei tassi da parte della BCE "potrebbe andare bene se l'economia crescesse in modo sostenuto e la domanda fosse maggiore dell'offerta. La politica monetaria restrittiva infatti fa cadere la domanda perché diminuisce il credito bancario e può spingere al ribasso i salari poiché fa aumentare la disoccupazione. Ma esistono anche altri problemi. L'efficacia della politica monetaria nel combattere l'inflazione dipende dalla sua natura. Infatti, un conto è l'inflazione da domanda e un conto l'inflazione da costi. L'attuale è un'inflazione da costi, legata principalmente all'aumento e all'alterna dinamica dei costi dell'energia. Verso questo tipo di inflazione, la politica monetaria è meno efficace."

Questo tipo di analisi sembra non considerare che senza la benzina monetaria nessun motore inflattivo può andare su di giri in modo così prolungato e generalizzato. Il che non esclude che altri fattori, non riconducibili alla politica monetaria, influiscano sull'andamento dei prezzi. I lockdown, le guerre commerciali (e non solo) in corso, le politiche fiscali rese molto espansive durante la pandemia, hanno contribuito ad alimentare la crescita dei prezzi.

Si noti che si tratta sempre di forme di interventismo, a volte cruento, da parte dei governi. In altri termini, se c'è carenza di offerta e scarsa concorrenza, molto spesso all'origine ci sono interventi restrittivi disposti per via legislativa.

E' vero, come notano Scanagatta e Sylos Labini, che esiste una "forte dispersione dei tassi di inflazione tra i Paesi dell'Unione Europea", il che rende (ancora) più problematica una politica monetaria unica.

Gli autori notano poi "una stretta correlazione tra la crescita dell'inflazione e quella dei profitti nei Paesi dell'Unione Europea: i profitti sono diventati un fattore inflazionistico. Probabilmente le imprese sono in grado di reagire più velocemente alla crescita dei costi aumentando i prezzi rispetto ai salari, essendo questi ultimi più rigidi. In questa relazione giocano molto le forme di mercato, dove prevalgono quelle di tipo oligopolistico. Ma i salari prima o poi dovranno aggiustarsi all'inflazione, ponendo in difficoltà la Banca Centrale Europea nella conduzione della politica monetaria se le imprese resistono all'aggiustamento conservando l'incidenza dei profitti sul prodotto interno lordo. Ciò aprirebbe un conflitto distributivo tra salari e profitti."

A mio parere qui si inverte il nesso causale. I profitti sono una componente dell'effetto Cantillon, certamente aiutato in alcuni casi da una situazione di concorrenza ridotta, per i motivi a cui accennavo.

Per cui mi poare proprio errato concludere che "l'inflazione energetica e l'inflazione da profitti sono state amplificate da un'inflazione indotta dalla politica monetaria restrittiva della Banca Centrale Europea che, aumentando celermente i tassi di interesse, ha generato un aumento dei costi dei prestiti per le famiglie, per le imprese e per il bilancio pubblico."

Non è la politica monetaria restrittiva a essere inflattiva, come sostengono Scanagatta e Sylos Labini, che sembrano concordare con il presidente turco Erdogan. Bensì la prolungata l'espansione precedente.

Altri fattori contribuiscono al rialzo generalizzato dei prezzi, ma invertire il nesso causale monetario non può che peggiorare le cose.


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