Scorie - La soluzione non è far nevicare soldi dei pagatori di tasse
Le prime settimane di inverno sono state caratterizzate da temperature superiori alle medie del periodo. Ciò consente di contenere le spese per il riscaldamento, ma allo stesso tempo sta consolidando una tendenza in atto da anni, ossia la sempre più frequente insufficienza di manto nevoso, soprattutto al di sotto dei 2000 metri di quota.
Questo diventa un problema per tutte le stazioni sciistiche a media quota, concentrate soprattutto negli Appennini. Di qui la richiesta delle regioni Emilia-Romagna, Abruzzo e Toscana di un incontro con Daniela Santanchè, ministro del Turismo. La quale nei giorni scorsi ha affermato che "al più presto ci sarà un tavolo di lavoro congiunto per un piano straordinario per l'Appennino senza neve."
La dinamica era facilmente prevedibile: le regioni in questione a battere cassa per fornire qualche ristoro ai titolari di attività economiche connesse al turismo invernale. Il conto, ovviamente, sarà a carico dei pagatori di tasse. E il conto, puntualmente, arriverà: si parte da 50 milioni di euro.
Paradossalmente, nell'inverno 2020-2021, quando il governo allora in carica avavea imposto a tutti quanti di stare sbarrati in casa e chi trasgrediva per andare in mezzo alla natura lo faceva assumendosi il rischio di essere sanzionato e pure trattato da criminale, l'innevamento naturale avrebbe consentito di sciare fino a Pasqua in Appennino.
In quel periodo i titolari di attività connesse al turismo furono "ristorati" con pochi spiccioli, pur sempre a carico dei pagatori di tasse, a prescindere dalla (ovina) adesione di questi ultimi alla politica chiusurista allora in voga.
Pur non sposando la causa della lotta talebana al cambiamento climatico a suon di imposizioni e divieti imboccata dall'Unione europea, è un fatto che, anche qualora questa avesse successo, gli inverni nevosi in Appennino saranno con buona probabilità meno frequenti rispetto al passato. In sostanza, sciare a 1500 metri di quota potrebbe diventare l'eccezione, non la regola.
Anche se uno non fosse contrario per principio all'uso della leva fiscale per sostenere questa o quella attività economica, credo dovrebbe ritenere folle l'idea di affrontare il problema in questione con le solite misure di finanziamenti a fondo perduto o crediti di imposta.
Piaccia o meno, ogni attività economica è soggetta a condizioni di incertezza e a cambiamenti che possono comportare l'uscita dal mercato anche di interi settori produttivi. I cambiamenti possono essere dovuti alla tecnologia o, come in questo caso, al clima. L'errore più grande sarebbe cercare di opporsi al cambiamento mantenendo artificialmente in vita attività che non sono più profittevoli.
Un errore compiuto con una certa frequenza in Italia (Ilva e ALitalia per fare solo un paio di esempi), con esiti tanto fallimentari quanto costosi per i pagatori di tasse. Temo che anche in questo caso si ripeterà lo stesso copione.
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