Scorie - La (il)legittimazione sociale
Nel corso delle mie letture agostane mi sono imbattuto nel testo di un discorso tenuto a un evento da Ravi Menon, managing director dell'Autorità monetaria di Singapore. Titolo dell'intervento: "What does it take to get to net zero", inteso come emissioni zero entro il 2050.
Menon sposa al 100 per cento la versione dell'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) dell'ONU, che prevede un futuro prossimo catastrofico se non si riuscirà a mantenere la crescita della temperatura media terrestre entro 1.5 gradi centigradi oltre l'età pre industriale, il che renderebbe necessario azzerare le emissioni nette di gas serra entro il 2050, appunto.
Bontà sua, Menon riconosce che "come ogni trasformazione economica, la transizione verde avrà vincitori e vinti, e se ciò non sarà riconosciuto e non si prenderanno gli opportuni provvedimenti, l'agenda della sostenibilità perderà le legittimazione sociale."
Trattandosi per lo più di una transizione stabilita politicamente con un approccio top-down, temo che i perdenti (che dubito saranno tra coloro che spingono per la transizione a tappe forzate) avranno ristori soddisfacenti.
Sarà pur vero che la transizione a zero emissioni nette sarà "la più grande trasformazione economica e sociale dalla Rivoluzione Industriale"; il fatto è che questa volta è la politica a dettare tempi e modi della rivoluzione, non il mercato. Quindi a fronte dei perdenti, ossia coloro che operano in settori "inquinanti" e che saranno messi artificialmente fuori mercato, non ci saranno masse di consumatori soddisfatti dai nuovi prodotti.
Anche perché a parole tutti sono favorevoli a evitare la catastrofe (non sto qui a discutere nel merito le previsioni dell'IPCC), ma quando si tratta di fare i conti con i costi nella vita quotidiana la musica cambia, e spontaneamente non ci sono modifiche nei comportamenti di acquisto. Modifiche che devono quindi essere indotte mediante il bastone della tassazione e/o la carota degli incentivi, ossia tassazione a carico di altri.
E infatti alle tasse si arriva. Per rendere conveniente il confronto tra fonti fossili e rinnovabili a tutt'oggi è necessario rendere artificialmente più costose le prime e meno le seconde.
E come stabilire poi i prezzi "giusti"? Mediante i "costi sociali" imposti dalle fonti fossili all'ambiente. La cui determinazione ha dei livelli di soggettività a mio parere enormi. Ma si sa: politici ed economisti loro consiglieri sono abituati a voler sostituire ciò che loro ritengono giusto a ciò che emerge su un libero mercato dagli scambi volontari di beni e servizi.
Comunque vada, i "risarcimenti" auspicati da Menon a chi perderà il lavoro o a famiglie a basso reddito e PMI non saranno efficaci, se non in parte. In ogni caso aumenterebbero il già non trascurabile tasso di dirigismo.
Non so quali sviluppi avrà l'idrogeno, ma pensare che il futuro sia fatto di pannelli solari e pale eoliche al posto delle fonti fossili a me pare poco credibile, se non si ipotizza una decisa riduzione dei consumi di energia.
E infatti, nella parte finale del suo intervento, Menon parla di uno "stile di vita sostenibile", fatto non solo di meno viaggi aerei e meno uso di aria condizionata, non solo di auto elettriche al posto di quelle con motore a combustione interna, bensì dell'uso della bicicletta e del bus al posto dell'auto. Il che, per chi non potrà permettersi (e oggi sarebbero tanti) di comprare un'auto elettrica, sarà una soluzione obbligata. Sempre che non debba percorrere molti chilometri e/o che non viva in zone non servite dal trasporto pubblico.
Vedremo quale sarà la legittimazione sociale...
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