Scorie - Blocchiamo la realtà per decreto
L'Italia è il Paese in cui il Governo prolunga lo stato di emergenza nonostante il lockdown sia finito da tre mesi. E' anche il Paese in cui il blocco dei licenziamenti, introdotto nella fase più acuta dell'emergenza, sta per essere prorogato anche oltre il 17 agosto.
Una parte della maggioranza vorrebbe arrivare al 31 dicembre, un'altra vorrebbe fermarsi a metà ottobre, nuova data (provvisoria?) di fine dello stato d'emergenza. Come sempre verrà fissata una data a metà strada, dando un colo al cerchio e uno alla botte.
La stessa divisione di posizioni si ripropone tra rappresentanze sindacali di lavoratori e imprese. Indubbiamente perdere il lavoro in un periodo come quello attuale è perfino peggio di perderlo in momenti più ordinari. Credo, però, che non occorra essere libertari contrari a ogni forma di intervento statale per rendersi conto che continuare a prorogare il blocco dei licenziamenti non fa altro che rimandare il problema.
Anche perché, giunti al 31 dicembre, immagino che la discussione di oggi si riproporrebbe pressoché negli stessi termini. Il fatto è che non si può bloccare la realtà per sempre.
Questo, però, sembra essere il punto di vista dei sindacati. Si prenda, per esempio, Maurizio Landini della Cgil, il quale tuona:
"Tutti i licenziamenti vanno bloccati fino a fine anno e i contratti nazionali devono essere rinnovati. Altrimenti per Cgil, Cisl e Uil sarà sciopero generale."
Aggiungendo, però:
"Non vogliamo lo scontro, è il momento di coesione e responsabilità, anche delle imprese."
Affermazione che, in sostanza, significa: o fate come dico io, oppure sarà scontro. Ovviamente la coesione e responsabilità è quella che devono dimostrare gli altri, aderendo alle richieste sindacali.
Afferma Landini:
"Dovrebbe essere chiaro a tutti che subire un licenziamento per una persona è un dramma. Il lavoro, anche nei ruoli più umili ed essenziali, ci ha fatto uscire dalla fase più drammatica della pandemia. Non puoi ringraziare le persone che hanno fatto il loro dovere in questo periodo dicendo che ora possono anche essere licenziate. È un linguaggio sbagliato. Oggi è il momento della coesione. La precarietà introdotta negli ultimi vent'anni - mettendo in discussione conquiste e diritti - non ha prodotto posti né migliorato la produttività delle aziende."
Per come la mette Landini, parrebbe che i licenziati finirebbero per essere le persone che hanno lavorato durante il lockdown. Il che non può essere escluso, ma ragionevolmente non si tratterebbe della componente maggioritaria dei licenziati. I quali, al contrario, dovrebbero essere lavoratori di imprese che hanno subito il blocco produttivo e hanno perso, anche successivamente, buona parte della produzione.
Quanto alla precarietà introdotta negli ultimi venti anni, la si deve anche ai sindacati, che hanno difeso una rigidità anacronistica per chi già aveva un lavoro, favorendo una segmentazione dei lavoratori che richiama il sistema delle caste indiane. Con i giovani nella parte degli intoccabili.
Giovani che, anche in questo periodo, subiscono l'impatto maggiore, mediante il mancato rinnovo dei contratti a termine. Quelli non saranno configurabili formalmente come licenziamenti, ma l'effetto sui diretti interessati non è diverso.
Ovviamente Landini e colleghi non condividono questo punto di vista. Anzi, ecco il rilancio:
"Noi non chiediamo solo di bloccare i licenziamenti. Vogliamo discutere subito un nuovo modello di sviluppo con ammortizzatori sociali universali per eliminare la precarietà."
Con quali soldi, a parte quelli della immancabile introduzione di patrimoniali e lotta all'evasione fiscale? Suppongo che se i 209 miliardi del Recovery Fund fossero spesi tutti in ammortizzatori sociali a questi signori non dispiacerebbe. In effetti, per Landini quei soldi "devono servire a combattere la precarietà."
Ma ecco il nuovo modello sociale:
"Un nuovo modello deve mettere al centro il lavoro e partire dagli investimenti su sanità pubblica, istruzione - con obbligo scolastico portato a 18 anni - deve prevedere asili nido dove non ci sono e formazione permanente. C'è da gestire la transizione ambientale e produttiva con addio a carbone e fonti fossili, gestire la manutenzione del territorio e trasformare cultura, turismo e storia dell'Italia in elementi di crescita. Vanno fatti ripartire investimenti fisici su infrastrutture, Mezzogiorno e ferrovie ma dobbiamo anche dotarci di una rete digitale che non abbiamo. E serve un ruolo pubblico che indirizzi investimenti e indichi le priorità a partire dalla mobilità sostenibile."
Vasto programma, avrebbe detto DeGaulle.
Perché fermarsi solo a 18 anni con l'obbligo scolastico? Perché non portarlo fino alla laurea, o magari al dottorato? E gli asili nido li portiamo anche nei paesi con 200 anime?
E il ruolo pubblico come dovrebbe concretizzarsi?
"Lo Stato non deve sostituire le imprese, ma deve dare indirizzo su settori e attività strategiche... La nostra proposta è istituire un'agenzia per lo sviluppo (coinvolgendo magari Cdp) che faccia da regista al sistema. Lavoratrici e lavoratori devono poter partecipare a queste scelte strategiche, discutendo su cosa, come e perché si produce e con quale sostenibilità sociale ed ambientale."
Non poteva mancare l'onnipresente Cdp, che è il prezzemolo di ogni ricetta neostatalista. Oltre a una versione italiana della Mitbestimmung tedesca.
Concludendo, Landini è, come sempre, perentorio:
"È il momento del coraggio e della radicalità. E soprattutto il momento della responsabilità. E la centralità del lavoro deve essere un vincolo sociale anche per il mercato."
E se la realtà non si adegua, peggio per lei.
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