Scorie - La dignità a spese altrui
"Si tratta di affermare in concreto che nessun cittadino nell'Unione, in caso di necessità, viene lasciato solo, mettendo a disposizione risorse minime ma sufficienti a non fargli perdere la dignità. Il reddito minimo potrebbe essere erogato, già a trattati vigenti, direttamente dal bilancio dell'Unione ai cittadini di tutti gli Stati membri, esonerando da tale onere i Paesi che già vi provvedono; le risorse necessarie sarebbero reperite attraverso un'apposita imposta su specifiche operazioni, come le transazioni finanziarie internazionali, o sulle attività inquinanti (una sorta di Carbon Tax europea)."
(L. Boldrini)
Quando si tratta di fare i buoni con i soldi degli altri, la presidenta Laura Boldrini non teme rivali. Il suo modo di argomentare, tipico peraltro di quasi tutti i solidaristi con i soldi altrui, è volto a trasformare ciò che dovrebbe essere nulla più che un atto volontario in un atto dovuto a norma di legge. E chi si oppone a provvedimenti come quelli proposti finisce spesso per essere tacciato di egoismo, e magari è pure additato tra le concause della perdita di dignità delle persone che beneficerebbero del reddito minimo.
A mio parere il motivo fondamentale per essere contrari alla solidarietà imposta per via fiscale è che non può esistere alcun diritto a ottenere trasferimenti in denaro, beni o servizi a spese altrui senza il consenso di coloro che pagano il conto. Altrimenti si viola la proprietà di costoro. In altri termini, per riconoscere un diritto (inesistente) a Tizio si lede un diritto (esistente) di Caio.
Il discorso potrebbe anche finire qui, ma ritengo interessante mettere in evidenza anche altri punti che, a prescindere dal rispetto del diritto di proprietà di chi paga il conto coattivamente, rendono proposte del genere non condivisibili.
Per esempio, chi stabilisce quando una persona perde la dignità? Suppongo che i fautori del reddito minimo risponderebbero che devono considerarsi le cosiddette soglie di povertà (anch'esse in qualche modo fissate arbitrariamente), che ovviamente sono diverse nei vari Paesi europei. Si dovrebbe quindi pensare a redditi minimi non uguali in senso assoluto, ma in senso relativo. Ed è evidente che qualche egualitarista più egualitarista degli altri finirebbe per storcere il naso.
D'altra parte, le imposte sulle transazioni finanziarie e sulle attività inquinanti proposte da Boldrini sarebbero prelevate con aliquota uniforme a livello comunitario, a prescindere dal fatto che chi la paga abbia residenza fiscale in un Paese con reddito medio superiore alla media europea oppure no. In questo caso sarebbe "giusta" (le virgolette sono d'obbligo, dato che nessuna tassa è giusta) una tassazione uniforme?
Per non dire del gettito delle imposte in questione, che sarebbe insufficiente a finanziare il reddito minimo garantito nel caso in cui non si fissassero aliquote eccessivamente distorsive (ossia elevate). In caso contrario, sarebbe comunque insufficiente perché le transazioni, soprattutto quelle finanziarie, verrebbero fatte fuori dall'Ue e da parte di soggetti fiscalmente non Ue.
E per ogni operazione non fatta per via della tassazione, non si tratta solo di una riduzione di gettito diretto, bensì anche di opportunità di lavoro in meno, non solo nei settori direttamente colpiti dalle imposte in questione. E meno opportunità di lavoro finirebbero per "far perdere la dignità" a un maggior numero di persone.
In definitiva, l'ipotesi socialista che la ricchezza sia una quantità data e che sia possibile per lo Stato ridistribuirla a piacere senza incidere sulla dimensione totale, nonostante basti un minimo di buon senso per rendersi conto di quanto sia assurda, continua imperterrita a essere riproposta.
Magari in nome di (finti) buoni sentimenti. Il che, se possibile, è perfino peggio di quanto la redistribuzione era (è) invocata in nome della lotta di classe.
(L. Boldrini)
Quando si tratta di fare i buoni con i soldi degli altri, la presidenta Laura Boldrini non teme rivali. Il suo modo di argomentare, tipico peraltro di quasi tutti i solidaristi con i soldi altrui, è volto a trasformare ciò che dovrebbe essere nulla più che un atto volontario in un atto dovuto a norma di legge. E chi si oppone a provvedimenti come quelli proposti finisce spesso per essere tacciato di egoismo, e magari è pure additato tra le concause della perdita di dignità delle persone che beneficerebbero del reddito minimo.
A mio parere il motivo fondamentale per essere contrari alla solidarietà imposta per via fiscale è che non può esistere alcun diritto a ottenere trasferimenti in denaro, beni o servizi a spese altrui senza il consenso di coloro che pagano il conto. Altrimenti si viola la proprietà di costoro. In altri termini, per riconoscere un diritto (inesistente) a Tizio si lede un diritto (esistente) di Caio.
Il discorso potrebbe anche finire qui, ma ritengo interessante mettere in evidenza anche altri punti che, a prescindere dal rispetto del diritto di proprietà di chi paga il conto coattivamente, rendono proposte del genere non condivisibili.
Per esempio, chi stabilisce quando una persona perde la dignità? Suppongo che i fautori del reddito minimo risponderebbero che devono considerarsi le cosiddette soglie di povertà (anch'esse in qualche modo fissate arbitrariamente), che ovviamente sono diverse nei vari Paesi europei. Si dovrebbe quindi pensare a redditi minimi non uguali in senso assoluto, ma in senso relativo. Ed è evidente che qualche egualitarista più egualitarista degli altri finirebbe per storcere il naso.
D'altra parte, le imposte sulle transazioni finanziarie e sulle attività inquinanti proposte da Boldrini sarebbero prelevate con aliquota uniforme a livello comunitario, a prescindere dal fatto che chi la paga abbia residenza fiscale in un Paese con reddito medio superiore alla media europea oppure no. In questo caso sarebbe "giusta" (le virgolette sono d'obbligo, dato che nessuna tassa è giusta) una tassazione uniforme?
Per non dire del gettito delle imposte in questione, che sarebbe insufficiente a finanziare il reddito minimo garantito nel caso in cui non si fissassero aliquote eccessivamente distorsive (ossia elevate). In caso contrario, sarebbe comunque insufficiente perché le transazioni, soprattutto quelle finanziarie, verrebbero fatte fuori dall'Ue e da parte di soggetti fiscalmente non Ue.
E per ogni operazione non fatta per via della tassazione, non si tratta solo di una riduzione di gettito diretto, bensì anche di opportunità di lavoro in meno, non solo nei settori direttamente colpiti dalle imposte in questione. E meno opportunità di lavoro finirebbero per "far perdere la dignità" a un maggior numero di persone.
In definitiva, l'ipotesi socialista che la ricchezza sia una quantità data e che sia possibile per lo Stato ridistribuirla a piacere senza incidere sulla dimensione totale, nonostante basti un minimo di buon senso per rendersi conto di quanto sia assurda, continua imperterrita a essere riproposta.
Magari in nome di (finti) buoni sentimenti. Il che, se possibile, è perfino peggio di quanto la redistribuzione era (è) invocata in nome della lotta di classe.
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