Scorie - Liberalizzazioni gattopardesche
"Parlare di necessità di liberalizzare le professioni significa utilizzare
un luogo comune, smentito dai numeri: gli Ordini sono 27, gli iscritti 2,3
milioni. Cifre che non hanno confronto in Europa. Non è vero che sfuggiamo
al cambiamento, anzi. Ma occorre prendere le mosse dal mercato
professionale nelle sue reali dimensioni."
(M. Calderone)
Marina Calderone è Presidente del Consiglio nazionale dei Consulenti del
lavoro e del Coordinamento degli Ordini. A suo parere chi vorrebbe una
liberalizzazione delle professioni utilizza un luogo comune smentito dai
numeri.
Dato che gli ordini sono 27 e gli iscritti ben 2,3 milioni, secondo
Calderone non esiste alcun problema. Per mettere una pietra tombale sulla
discussione, poi, aggiunge che si tratta di "cifre che non hanno confronto
in Europa". A me questo francamente sembra un autogol: quelle cifre non
hanno paragone in Europa semplicemente perché nessun altro sistema europeo
è basato su un corporativismo pervasivo quanto quello italiano. Una delle
eredità del Ventennio che i tanti antifascisti militanti a tempo pieno si
sono ben guardati dal rimuovere.
Calderone rassicura, però, che i suoi associati non vogliono sfuggire al
cambiamento, anzi. Ben venga il cambiamento, purché prenda "le mosse dal
mercato professionale nelle sue reali dimensioni". Una formula che può
voler significare tutto e il suo contrario, ma che sospetto debba essere
interpretata come:"lasciate che siamo noi a stabilire cosa deve essere
cambiato". Un modo sicuro per ottenere cambiamenti gattopardeschi.
Ora, se queste persone fossero realmente aperti all'idea di cambiamento,
non dovrebbero avere alcun timore nel trasformare l'iscrizione a un ordine
da condizione necessaria per poter svolgere una determinata attività a una
semplice scelta individuale da parte del professionista. Se veramente
essere iscritti a un ordine costituisse una sorta di certificazione di
qualità, i clienti sceglierebbero autonomamente di rivolgersi a
professionisti iscritti a un determinato ordine.
Il fatto, però, che ci sia questa resistenza alla liberalizzazione a me
pare sintomo piuttosto evidente del voler tenere delle barriere
all'entrata. Sentire poi, come spesso capita, che lo si fa per il bene dei
clienti (supposti incapaci di riconoscere le qualità di un professionista
in un contesto liberalizzato), dimostra, a mio parere, una corposa dose di
ipocrisia da parte dei nemici delle liberalizzazioni.
Molti dei quali, incuranti di essere ridicoli, si autoprioclamano liberali.
Del resto si sa: l'Italia è piena di liberali a parole.
un luogo comune, smentito dai numeri: gli Ordini sono 27, gli iscritti 2,3
milioni. Cifre che non hanno confronto in Europa. Non è vero che sfuggiamo
al cambiamento, anzi. Ma occorre prendere le mosse dal mercato
professionale nelle sue reali dimensioni."
(M. Calderone)
Marina Calderone è Presidente del Consiglio nazionale dei Consulenti del
lavoro e del Coordinamento degli Ordini. A suo parere chi vorrebbe una
liberalizzazione delle professioni utilizza un luogo comune smentito dai
numeri.
Dato che gli ordini sono 27 e gli iscritti ben 2,3 milioni, secondo
Calderone non esiste alcun problema. Per mettere una pietra tombale sulla
discussione, poi, aggiunge che si tratta di "cifre che non hanno confronto
in Europa". A me questo francamente sembra un autogol: quelle cifre non
hanno paragone in Europa semplicemente perché nessun altro sistema europeo
è basato su un corporativismo pervasivo quanto quello italiano. Una delle
eredità del Ventennio che i tanti antifascisti militanti a tempo pieno si
sono ben guardati dal rimuovere.
Calderone rassicura, però, che i suoi associati non vogliono sfuggire al
cambiamento, anzi. Ben venga il cambiamento, purché prenda "le mosse dal
mercato professionale nelle sue reali dimensioni". Una formula che può
voler significare tutto e il suo contrario, ma che sospetto debba essere
interpretata come:"lasciate che siamo noi a stabilire cosa deve essere
cambiato". Un modo sicuro per ottenere cambiamenti gattopardeschi.
Ora, se queste persone fossero realmente aperti all'idea di cambiamento,
non dovrebbero avere alcun timore nel trasformare l'iscrizione a un ordine
da condizione necessaria per poter svolgere una determinata attività a una
semplice scelta individuale da parte del professionista. Se veramente
essere iscritti a un ordine costituisse una sorta di certificazione di
qualità, i clienti sceglierebbero autonomamente di rivolgersi a
professionisti iscritti a un determinato ordine.
Il fatto, però, che ci sia questa resistenza alla liberalizzazione a me
pare sintomo piuttosto evidente del voler tenere delle barriere
all'entrata. Sentire poi, come spesso capita, che lo si fa per il bene dei
clienti (supposti incapaci di riconoscere le qualità di un professionista
in un contesto liberalizzato), dimostra, a mio parere, una corposa dose di
ipocrisia da parte dei nemici delle liberalizzazioni.
Molti dei quali, incuranti di essere ridicoli, si autoprioclamano liberali.
Del resto si sa: l'Italia è piena di liberali a parole.
Commenti
Posta un commento