Scorie - The (bad) conscience of a liberal (30)

"La politica monetaria in realtà non è una materia tecnica, immune da
condizionamenti politici: un'inflazione moderata può essere benefica per
l'occupazione specialmente quando un Paese sta cercando di smaltire un
forte indebitamento, ma è venefica per lo 0.1% più ricco degli americani; e
questo fatto finisce per influire in misura rilevante per la discussione…
un gruppo, tanto ristretto quanto influente, che con le politiche di
repressione finanziaria finisce per rimetterci."
(P. Krugman)

Non è una novità che per i keynesiani (e non solo, a dire il vero) le
politiche monetarie inflattive siano un rimedio utile a contrastare la
disoccupazione e a smaltire una sbornia da eccesso di debito. Ovviamente
non si curano del fatto che quella sbornia è stata propiziata proprio da
politiche monetarie inflattive e che dare alcool a un ubriaco non è il modo
migliore per riportarlo alla sobrietà.

Il trade-off tra inflazione e disoccupazione è un must del pensiero
keynesiano sul quale è ancora oggi basata l'azione delle banche centrali, a
partire dalla Fed statunitense. Non intendo in questa sede soffermarmi,
come ho fatto altre volte, sull'idea di risolvere la rigidità al ribasso
dei salari nominali agendo con l'inflazione per ridurre i salari reali, ciò
che, in ultima analisi, è l'essenza della cura keynesiana per la
disoccupazione.

Vorrei invece commentare la posizione di Krugman (tipicamente keynesiana)
circa l'uso dell'inflazione per svalutare i debiti in termini reali,
alleviando gli oneri per i debitori e a danno dei creditori. In sostanza,
nulla più che una redistribuzione dei redditi, ma attuata non per via
fiscale, bensì in modo surrettizio.

Krugman sostiene che la svalutazione del debito mediante inflazione sarebbe
"venefica per lo 0.1% più ricco degli americani"; suppongo si debba dedurre
che il restante 99.9% non avrebbe alcun danno o, se oberato da debiti,
trarrebbe giovamento dall'inflazione. Nel fare questa affermazione Krugman
evidentemente ricorre a una idea della composizione della società che era
già antiquata a fine Ottocento.

La repressione finanziaria, ossia la manipolazione dei tassi di interesse e
della quantità di moneta dirette a mantenere i rendimenti reali in
territorio negativo, non danneggia lo 0.1% della popolazione, quanto meno
non danneggia solo quello 0.1%. La maggior parte dei grandi proprietari di
beni mobili e immobili ha spesso finanziato l'acquisizione di quelle
proprietà mediante debito. Costoro traggono con ogni probabilità un
beneficio netto dall'inflazione, dato che essa tende a ridurre il peso del
debito e a gonfiare i prezzi degli asset finanziati con quel debito.

Per contro tutti coloro che percepiscono redditi fissi e accantonano
risparmi in strumenti a reddito fisso subiscono effetti negativi dalla
repressione finanziaria. Un problema particolarmente preoccupante, in
prospettiva, soprattutto per quanto riguarda i fondi pensione, che in
questi anni stanno ottenendo spesso rendimenti reali negativi nei Paesi in
cui i rendimenti obbligazionari sono negativi in termini reali. Per Krugman
pare che questo non sia un problema, ma riguarda indubbiamente ben oltre lo
0.1% della popolazione americana (e non solo).

Concordo con Krugman quando afferma che, "la politica monetaria in realtà
non è una materia tecnica, immune da condizionamenti politici"; in ultima
analisi la tecnica serve solo come copertura pseudo-scientifica per la
politica. Non credo, però, che questo autorizzi a falsare i numeri su chi
trae benefici o danni dall'inflazione, come mi pare evidente faccia Krugman
sostenendo che essa danneggerebbe solo lo 0.1% della popolazione. Anche
questa mi sembra politica, più che economia.

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