Scorie - Per una volta che ero d'accordo

Come è noto, l'Italia è il Paese europeo che ha richiesto il maggiore importo per finanziare il proprio Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. La parte di finanziamenti che non andrà rstituita ammonta a circa 69 miliardi, a cui si aggiungono altri circa 123 miliardi a debito. Altri Paesi hanno chiesto meno del massimo ottenibile, sovente limitandosi alla parte di fondi da non restituire.

Dovendo realizzare gli interventi in un orizzonte temporale contenuto (il programma scade nel 2026), era chiaro fin dall'inizio, quando Giuseppe Conte e i suoi festeggiavano per avere "ottenuto 200 miliardi dall'Europa",  che l'Italia avrebbe avuto problemi nella fase di implementazione dei famosi investimenti pubblici.

Personalmente non sono mai entusiasta di fronte a programmi del genere, perché si tratta sempre di consumo di tasse che qualcuno paga e pagherà, anche a sud delle Alpi, e non solo per la parte a debito.

Quindi mi sono trovato stranamente d'accordo con il capogruppo leghista alla Camera Riccardo Molinari, che ha ipotizzato di "rinunciare a una parte dei fondi a debito". Il tutto perché, dopo aver parlato con diversi amministratori locali, si è chiesto "ha senso indebitarsi con la Ue per fare cose che non servono?"

L'avesse mai detto. La presidente del Consiglio ha subito detto di non prendere in considerazione "l'ipotesi di perdere risorse". 

Secondo Carlo Calenda, non ci sarebbe "un danno materiale ma un disastro reputazionale". Capisco che chi sta all'opposizione faccia il proprio mestiere, ma da pagatore di tasse ho l'impressione che il prezzo da pagare per evitare il supposto danno reputazionale sia troppo alto.

Anche perché il rischio concreto è di indebitarsi maggiormente e non riuscire comunque a completare il programma. Il che unirebbe al danno la beffa.

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