Scorie - Numeri e (pre)giudizio

Una settimana dopo le elezioni politiche italiane, è stata la volta del primo turno delle presidenziali in Brasile. Ad affrontarsi il presidente uscente, Jair Bolsonaro, e il riabilitato Luiz Inacio Lula da Silva.

Quest'ultimo è un idolo dei progressisti di ogni dove, che hanno attribuito alle sue capacità di governare i benefici dell'andamento dei prezzi delle materie prime di cui il Brasile ha goduto durante il suo periodo da presidente (lo stesso motivo per cui anche il venezuelano Chavez ha goduto di credito per un certo periodo, pur dando il colpo di grazia al Venezuela).

Non mi interessa più di tanto la contesa in sé, né ho motivi per sostenere il presidente uscente. Mi interessa piuttosto uno degli argomenti ampiamente utilizzati per giustificare il vantaggio di Lula nei sondaggi, ossia la fallimentare gestione della pandemia da parte di Bolsonaro. Reo di non essere stato tra i lockdownisti e vaccinisti che altrove hanno segregato in casa le persone e imposto la vaccinazione, pena la pressoché totale impossibilità di lavorare e condurre una vita non isolata.

Stando ai numeri riportati da Bloomberg e basati sul database della Johns Hopkins University, finora in Brasile sono attribuiti al Covid 686mila morti da inizio pandemia, pari allo 0,316% della popolazione. Nel Canada del progressista Justin Trudeau, i morti sono stati lo 0,392% della popolazione. In Belgio lo 0,384%; negli Stati Uniti lo 0,314% e nella lockdownista e speranzista Italia lo 0,29%.

Pur tenendo conto di differenze nelle modalità di compilazione di queste statistiche (in Italia sono stati classificate come morte per Covid anche persone con gravi patologie pregresse che risultavano positive al virus al momento del decesso), a me pare che in Brasile i numeri non siano affatto peggio che in Paesi nei quali non si è attribuito ai governi uscenti la responsabilità di una gestione fallimentare della sanità.

Ma se i numeri non contano, il giudizio diventa pregiudizio.

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