Scorie - Wolf? No, donkey

Intervistato qualche tempo fa da Repubblica, Martin Wolf, editorialista del Financial Times, se l'è presa con il capitalismo, che a suo dire dovrebbe cambiare.

La sintesi dei problemi sarebbe questa:

"Troppa diseguaglianza, corporation che eludono legalmente il fisco, monopoli digitali che dominano il mondo, stanno facendo perdere alla gente fiducia nel capitalismo democratico."

Parrebbe di vivere in un mondo privo di interventi governativi, del tutto privo di regole e autorità di vigilanza. Al contrario, non esiste angolo del mondo sviluppato in cui ormai ogni minimo dettaglio di qualsivoglia attività non sia regolata minuziosamente.

Eppure per Wolf il problema è il capitalismo. Bontà sua, ammette almeno che qualche problema potrebbe essere anche altrove.

"Se il sistema non cambia, la gente perderà fiducia nella capacità del capitalismo democratico di funzionare bene per tutti. Sembrerà un sistema truccato, in cui si applicano certe regole ai ricchi e regole differenti a tutti gli altri. E questo farà perdere legittimità al sistema. Non c'è da sorprendersi che, in queste condizioni, l'opinione pubblica non si fidi più della competenza ed onestà delle élite che la governano. Se le cose non migliorano, non possiamo essere certi che il sistema sopravvivrà."

Ma (ovviamente) non si accorge dell'elefante nella cristalleria.

"L'eurozona nell'ultimo decennio è stata salvata da Mario Draghi."

Pare di capire, quindi, che le politiche monetarie ultraespansive per Wolf non abbiano generato nessun effetto redistributivo e nessun aumento delle disuguaglianze di cui parla.

Quanto al da farsi, Wolf si lamenta che non ci sia stata la reazione degli anni Trenta del secolo scorso, perché "allora la risposta fu il New Deal e c'erano intellettuali come Keynes a predicare la necessità di un cambiamento. Adesso mi pare che siamo peggio equipaggiati, sia come politici che come intellettuali."

Non è detto che Wolf non abbia ragione nel sostenere che oggi siamo peggio equipaggiati, ma se il faro deve essere Keynes dubito che le cose potrebbero andare meglio. Si può discutere sul fatto che i keynesiani, soprattutto al governo, abbiano anche distorto la ricetta keynesiana, usando il deficit spending e le politiche monetarie espansive come strumenti buoni per tutte le stagioni. Ma il paradigma neokeynesiano è di fatto quello dominante tanto a livello accademico, quanto nell'ispirazione delle politiche governative e monetarie in gran parte del mondo. Ovvio che per i keynesiani alle vongole non si faccia mai abbastanza, ma qualche dubbio sulla ricetta stessa, dopo ottant'anni, dovrebbe essere venuto a tutti.

Purtroppo non è così, il che non consente di essere ottimisti.

 "Se io domenica mattina vado a votare - ha sottolineato il Cardinale- è perché sono convinto che esista un bene comune che riguarda te, riguarda tutti noi. Siamo un 'noi' di cui dobbiamo tenere conto. E mi fa paura, invece, questo atteggiamento individualistico, in fondo, di non scegliere. E, poi, quante nazioni ci sono nel mondo dove non si vota, dove c'è una testa che ha già pensato tutto... In fondo noi viviamo in una democrazia... E' un valore aggiunto anche la democrazia. In democrazia senti cose dritte, senti cose storte, senti cose che condividi e non condividi... Certamente tutti abbiamo il dovere di informarci, di farci una coscienza. Il voto è esprimere un giudizio".

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