Scorie - Il piano industriale del mondo
"Per intenderci, oggi non è come quando firmammo il Protocollo di Kyoto, con il quale noi europei e soprattutto noi italiani prendemmo un carico rilevante di vincoli quando altri Paesi non ne avevano. Oggi tutto il mondo si impegna ad andare in una direzione comune, e finalmente questo impegno non è più una serie di vincoli ma, appunto, di opportunità. Lo dico in altre parole: è come se a Parigi stessimo facendo il grande "piano industriale del mondo" per i prossimi 85 anni."
(G. L. Galletti)
Reduce dalla conferenza sul clima di Parigi, il ministro dell'ambiente Galletti, al pari degli altri partecipanti, ha parlato di evento storico.
Non voglio entrare nel merito della faccenda, per la quale non ho competenze adeguate. Resta il fatto che, ammesso che le premesse del vertice fossero attendibili (e da più parti la cosa è messa in discussione), ogni impegno che non preveda sanzioni a chi non lo rispetta (questa, fondamentalmente, è la flessibilità concessa ai paesi emergenti) è poco credibile.
Ciò detto, la cosa che invece trovo agghiacciante in conferenze come questa, è l'idea di pianificazione globale che pervade chi vi prende parte. In pratica, non sono neppure certi che ciò che pensano in merito al clima sia vero, ma si prendono il diritto di stabilire, al posto di miliardi di persone, cosa fare nei prossimi 85 anni.
Non a caso Galletti parla di "piano industriale del mondo". Già in ambito aziendale, dove pure i rapporti sono (generalmente) regolati da contratti stipulati volontariamente, i piani pluriennali si rivelano spesso ex-post un insieme di buone intenzioni (con orizzonte 3-5 anni) la cui realizzazione è per lo più parziale. Figurarsi un piano globale a livello politico, che compiorta per definizione coercizione, per di più su un orizzonte di 85 anni. Neppure in Unione sovietica hanno mai pensato a tanto, e nella Cina attuale il partito comunista si limita ancora a predisporre piani quinquennali.
Si salvi chi può.
(G. L. Galletti)
Reduce dalla conferenza sul clima di Parigi, il ministro dell'ambiente Galletti, al pari degli altri partecipanti, ha parlato di evento storico.
Non voglio entrare nel merito della faccenda, per la quale non ho competenze adeguate. Resta il fatto che, ammesso che le premesse del vertice fossero attendibili (e da più parti la cosa è messa in discussione), ogni impegno che non preveda sanzioni a chi non lo rispetta (questa, fondamentalmente, è la flessibilità concessa ai paesi emergenti) è poco credibile.
Ciò detto, la cosa che invece trovo agghiacciante in conferenze come questa, è l'idea di pianificazione globale che pervade chi vi prende parte. In pratica, non sono neppure certi che ciò che pensano in merito al clima sia vero, ma si prendono il diritto di stabilire, al posto di miliardi di persone, cosa fare nei prossimi 85 anni.
Non a caso Galletti parla di "piano industriale del mondo". Già in ambito aziendale, dove pure i rapporti sono (generalmente) regolati da contratti stipulati volontariamente, i piani pluriennali si rivelano spesso ex-post un insieme di buone intenzioni (con orizzonte 3-5 anni) la cui realizzazione è per lo più parziale. Figurarsi un piano globale a livello politico, che compiorta per definizione coercizione, per di più su un orizzonte di 85 anni. Neppure in Unione sovietica hanno mai pensato a tanto, e nella Cina attuale il partito comunista si limita ancora a predisporre piani quinquennali.
Si salvi chi può.
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