Scorie - Si dicono liberali, poi tifano per il comunista ellenico
"Forza Italia voterà contro l'articolo 8 della legge di delegazione europea 2014, oggi in Aula a Montecitorio, che prevede il cosiddetto 'bail in', ovvero il salvataggio delle banche attingendo a risorse interne, con prelievi anche dai correntisti, e non più facendo ricorso al 'bail out', il salvataggio dall'esterno tramite le casse pubbliche. In estrema sintesi: dall'1 gennaio 2016 se le banche saranno in default potranno attingere dai conti correnti sopra i 100 mila euro, dalle azioni e dalle obbligazioni dei propri clienti-risparmiatori. Una misura inaccettabile per Forza Italia, un vero e proprio prelievo forzoso contro le famiglie, contro le imprese, e solo nell'interesse delle grandi banche. Ci opporremo con ogni mezzo a chi vuol metter le mani nelle tasche degli italiani."
(R. Brunetta)
Quando uno sente parlare Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia alla Camera dei deputati, si rende conto che le parole "liberalismo" e "libertà", tanto care a chi milita in quel partito, sono continuamente abusate da oltre vent'anni.
In fin dei conti Brunetta, come tanti di quelli che hanno ricoperto posizioni di rilievo in Forza Italia (nelle sue diverse fasi e denominazioni) prima della "discesa in campo" di Berlusconi era un socialista. E tale è rimasto.
Tra le tante iniziative tecno-burocratiche dell'Unione europea, una delle meno peggio è quella della disciplina che entrerà in vigore dal 2016 per la gestione delle crisi bancarie. Mentre finora ha prevalso il cosiddetto "bail out", ossia il salvataggio dall'esterno, dal 2016 si passerà al "bail in", ossia il salvataggio dall'interno. Non so se e come funzionerà, ma il principio non dovrebbe essere osteggiato da uno che si dice liberale, soprattutto non dovrebbe essergli preferito il "bail out".
In pratica, con il "bail out" le banche, anche se non vi era alcun obbligo al riguardo, finivano per essere salvate mediante l'intervento dello Stato; i costi erano quindi interamente a carico dei pagatori di tasse. Il modello ha favorito l'azzardo morale da parte dei banchieri, dato che i profitti erano privati e le perdite, se tali da portare alla bancarotta, erano socializzate.
Con il "bail in", al contrario, i costi del salvataggio ricadranno in primo luogo sugli azionisti, poi sugli obbligazionisti subordinati, poi sugli obbligazionisti non subordinati, quindi sui depositi oltre la soglia di 100mila euro. Qualora il costo del salvataggio superi l'8 per cento delle passività totali, allora ci sarà l'intervento pubblico. In pratica, un rischio per i contribuenti rimane, ancorché attutito. A questo, semmai, si dovrebbe opporre chi non vuole che siano coinvolti i pagatori di tasse.
Non vedo per quale motivo chi è azionista o creditore di una società non dovrebbe sopportare i rischi di un fallimento di quella società. In linea di massima, quando una società è insolvente, o si trovano nuovi capitali, oppure andrebbero azzerate le azioni e convertiti i debiti in capitale. In alternativa rimane la liquidazione, e in quel caso gli azionisti comunque perderebbero tutto e i creditori perderebbero una parte più o meno consistente dei loro crediti.
Secondo Brunetta, invece, il "bail in" sarebbe "un vero e proprio prelievo forzoso contro le famiglie, contro le imprese, e solo nell'interesse delle grandi banche". Il che lo porta ad annunciare un'opposizione "con ogni mezzo a chi vuol metter le mani nelle tasche degli italiani".
Ora, il fatto è che le mani nelle tasche degli italiani le si mettono molto di più con il "bail out", dato che in quel caso il salvataggio è totalmente a carico dello Stato, ossia dei pagatori di tasse. Nel caso del "bail in", al contrario, si fanno sopportare gli oneri prima ad azionisti e creditori.
Semmai si dovrebbe pretendere che non vi fosse nessun intervento dello Stato neppure nell'ambito del "bail in". E se davvero si avesse a cuore la sorte dei depositanti, si dovrebbe fare opposizione alla riserva frazionaria. Perché non c'è sistema di garanzia dei depositi che tenga in modo assoluto, se non un coefficiente di riserva pari al 100 per cento.
Invece ci tocca di sentire invocare un giorno sì e l'altro pure il quantitative easing della Bce e fare il tifo per il comunista in salsa ellenica Tsipras, da parte di chi continua senza pudore a usare del tutto a sproposito parole come libertà e liberalismo.
(R. Brunetta)
Quando uno sente parlare Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia alla Camera dei deputati, si rende conto che le parole "liberalismo" e "libertà", tanto care a chi milita in quel partito, sono continuamente abusate da oltre vent'anni.
In fin dei conti Brunetta, come tanti di quelli che hanno ricoperto posizioni di rilievo in Forza Italia (nelle sue diverse fasi e denominazioni) prima della "discesa in campo" di Berlusconi era un socialista. E tale è rimasto.
Tra le tante iniziative tecno-burocratiche dell'Unione europea, una delle meno peggio è quella della disciplina che entrerà in vigore dal 2016 per la gestione delle crisi bancarie. Mentre finora ha prevalso il cosiddetto "bail out", ossia il salvataggio dall'esterno, dal 2016 si passerà al "bail in", ossia il salvataggio dall'interno. Non so se e come funzionerà, ma il principio non dovrebbe essere osteggiato da uno che si dice liberale, soprattutto non dovrebbe essergli preferito il "bail out".
In pratica, con il "bail out" le banche, anche se non vi era alcun obbligo al riguardo, finivano per essere salvate mediante l'intervento dello Stato; i costi erano quindi interamente a carico dei pagatori di tasse. Il modello ha favorito l'azzardo morale da parte dei banchieri, dato che i profitti erano privati e le perdite, se tali da portare alla bancarotta, erano socializzate.
Con il "bail in", al contrario, i costi del salvataggio ricadranno in primo luogo sugli azionisti, poi sugli obbligazionisti subordinati, poi sugli obbligazionisti non subordinati, quindi sui depositi oltre la soglia di 100mila euro. Qualora il costo del salvataggio superi l'8 per cento delle passività totali, allora ci sarà l'intervento pubblico. In pratica, un rischio per i contribuenti rimane, ancorché attutito. A questo, semmai, si dovrebbe opporre chi non vuole che siano coinvolti i pagatori di tasse.
Non vedo per quale motivo chi è azionista o creditore di una società non dovrebbe sopportare i rischi di un fallimento di quella società. In linea di massima, quando una società è insolvente, o si trovano nuovi capitali, oppure andrebbero azzerate le azioni e convertiti i debiti in capitale. In alternativa rimane la liquidazione, e in quel caso gli azionisti comunque perderebbero tutto e i creditori perderebbero una parte più o meno consistente dei loro crediti.
Secondo Brunetta, invece, il "bail in" sarebbe "un vero e proprio prelievo forzoso contro le famiglie, contro le imprese, e solo nell'interesse delle grandi banche". Il che lo porta ad annunciare un'opposizione "con ogni mezzo a chi vuol metter le mani nelle tasche degli italiani".
Ora, il fatto è che le mani nelle tasche degli italiani le si mettono molto di più con il "bail out", dato che in quel caso il salvataggio è totalmente a carico dello Stato, ossia dei pagatori di tasse. Nel caso del "bail in", al contrario, si fanno sopportare gli oneri prima ad azionisti e creditori.
Semmai si dovrebbe pretendere che non vi fosse nessun intervento dello Stato neppure nell'ambito del "bail in". E se davvero si avesse a cuore la sorte dei depositanti, si dovrebbe fare opposizione alla riserva frazionaria. Perché non c'è sistema di garanzia dei depositi che tenga in modo assoluto, se non un coefficiente di riserva pari al 100 per cento.
Invece ci tocca di sentire invocare un giorno sì e l'altro pure il quantitative easing della Bce e fare il tifo per il comunista in salsa ellenica Tsipras, da parte di chi continua senza pudore a usare del tutto a sproposito parole come libertà e liberalismo.
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