Scorie - Togli "sotto" e metti "fuori"
"La mia preoccupazione è il debito italiano, che è totalmente sotto controllo."
(P. C. Padoan)
Quando un ministro dell'Economia in Italia parla di debito pubblico, una euristica efficace consiste nel considerare vero l'esatto opposto di quello che afferma. Nel caso specifico, il fatto stesso che Padoan dica che il debito è la sua preoccupazione, aggiungendo poi che esso è "totalmente sotto controllo" già appare contraddittorio. E in effetti a me pare totalmente fuori controllo.
Ovviamente non ci si può aspettare che il ministro dell'Economia dica altro, ammetta che il debito non è sotto controllo e che la sua sostenibilità è del tutto precaria, altrimenti accelererebbe la resa dei conti.
Un debito è sotto controllo quando per il debitore è possibile impostare un piano di rientro senza che ciò lo porti all'insolvenza. Nel caso del debito pubblico italiano (ma il discorso, seppur con qualche sfumatura, vale praticamente per tutti i debiti pubblici) serve una fervida fantasia per ipotizzare che il debito sia effettivamente sostenibile. Di fatto è irredimibile, per cui la sostenibilità dipende dalla possibilità di rinnovare le scadenze, pagando interessi compatibili con la crescita nominale del Pil.
In Italia il debito pubblico continua a crescere, nonostante il costo marginale sia ormai a livelli ampiamente inferiori al 2 per cento, perché la crescita nominale del Pil è inferiore a questo sia pur basso livello e, considerando gli interessi sullo stock esistente, il bilancio dello Stato risulta sempre in deficit nonostante un saldo primario positivo.
Tecnicamente parlando, può essere discutibile che la valutazione dei debiti pubblici sia fatta rapportando lo stock di debito al Pil, che è un flusso. Il rapporto con il Pil è corretto nel caso del deficit, che è a sua volta un flusso, ma per il debito si potrebbero fare altre valutazioni.
Ciò a mio parere non porterebbe, peraltro, a conclusioni differenti. Un soggetto che tutti gli anni ha ricavi inferiori ai costi è comunque destinato, prima o poi, all'insolvenza: essa tende ad arrivare tanto prima quanto maggiori sono lo stock di debito accumulato e le perdite annue (deficit).
Si potrebbe osservare che lo stock di debito dovrebbe essere valutato tenendo conto dell'attivo patrimoniale del soggetto indebitato. In effetti ciò è teoricamente vero, e periodicamente un simile esercizio viene pure fatto, ma porta ogni volta al nulla.
Lo Stato (più in generale le amministrazioni pubbliche) detiene molte attività che potrebbero essere dismesse e che spesso generano solo costi. Purtroppo, però, è sempre mancata la volontà politica di fare dismissioni, tranne durante una breve stagione negli anni Novanta, quando non c'era alternativa al default la classe politica era ancora sotto il trauma di Mani pulite. Non è mai il momento adatto per farle, ogni governo dice che vendere significherebbe svendere. Nel frattempo i costi proliferano.
Lo stesso dicasi per la spesa pubblica. Grandi annunci di tagli, che poi restano puntualmente inattuati. Complice anche gran parte dei mezzi di informazione, che salutano con giubilo ogni annuncio di aumenti dei dipendenti pubblici (vedi, da ultimo, le circa 150mila assunzioni nella scuola) senza pensare alle conseguenze per i contribuenti; per di più rilanciando gli allarmi di coloro che vedono in ogni annuncio di riduzione di spesa, per quanto manifestamente parassitaria, la fine dei servizi pubblici.
Se gli asset non sono venduti e i costi non vengono ridotti, l'unica speranza resta nell'aumento del Pil nominale superiore ai costo del debito. Ma si tratta di due questioni che non dipendono direttamente dal governo.
E' ben comprensibile, quindi, l'invocazione ministeriale (e non solo) del QE per alleggerire ulteriormente il costo del debito e inflazionarlo (assieme al Pil). Ma affermare che il debito "è totalmente sotto controllo" significa semplicemente prendere a pugni la realtà.
(P. C. Padoan)
Quando un ministro dell'Economia in Italia parla di debito pubblico, una euristica efficace consiste nel considerare vero l'esatto opposto di quello che afferma. Nel caso specifico, il fatto stesso che Padoan dica che il debito è la sua preoccupazione, aggiungendo poi che esso è "totalmente sotto controllo" già appare contraddittorio. E in effetti a me pare totalmente fuori controllo.
Ovviamente non ci si può aspettare che il ministro dell'Economia dica altro, ammetta che il debito non è sotto controllo e che la sua sostenibilità è del tutto precaria, altrimenti accelererebbe la resa dei conti.
Un debito è sotto controllo quando per il debitore è possibile impostare un piano di rientro senza che ciò lo porti all'insolvenza. Nel caso del debito pubblico italiano (ma il discorso, seppur con qualche sfumatura, vale praticamente per tutti i debiti pubblici) serve una fervida fantasia per ipotizzare che il debito sia effettivamente sostenibile. Di fatto è irredimibile, per cui la sostenibilità dipende dalla possibilità di rinnovare le scadenze, pagando interessi compatibili con la crescita nominale del Pil.
In Italia il debito pubblico continua a crescere, nonostante il costo marginale sia ormai a livelli ampiamente inferiori al 2 per cento, perché la crescita nominale del Pil è inferiore a questo sia pur basso livello e, considerando gli interessi sullo stock esistente, il bilancio dello Stato risulta sempre in deficit nonostante un saldo primario positivo.
Tecnicamente parlando, può essere discutibile che la valutazione dei debiti pubblici sia fatta rapportando lo stock di debito al Pil, che è un flusso. Il rapporto con il Pil è corretto nel caso del deficit, che è a sua volta un flusso, ma per il debito si potrebbero fare altre valutazioni.
Ciò a mio parere non porterebbe, peraltro, a conclusioni differenti. Un soggetto che tutti gli anni ha ricavi inferiori ai costi è comunque destinato, prima o poi, all'insolvenza: essa tende ad arrivare tanto prima quanto maggiori sono lo stock di debito accumulato e le perdite annue (deficit).
Si potrebbe osservare che lo stock di debito dovrebbe essere valutato tenendo conto dell'attivo patrimoniale del soggetto indebitato. In effetti ciò è teoricamente vero, e periodicamente un simile esercizio viene pure fatto, ma porta ogni volta al nulla.
Lo Stato (più in generale le amministrazioni pubbliche) detiene molte attività che potrebbero essere dismesse e che spesso generano solo costi. Purtroppo, però, è sempre mancata la volontà politica di fare dismissioni, tranne durante una breve stagione negli anni Novanta, quando non c'era alternativa al default la classe politica era ancora sotto il trauma di Mani pulite. Non è mai il momento adatto per farle, ogni governo dice che vendere significherebbe svendere. Nel frattempo i costi proliferano.
Lo stesso dicasi per la spesa pubblica. Grandi annunci di tagli, che poi restano puntualmente inattuati. Complice anche gran parte dei mezzi di informazione, che salutano con giubilo ogni annuncio di aumenti dei dipendenti pubblici (vedi, da ultimo, le circa 150mila assunzioni nella scuola) senza pensare alle conseguenze per i contribuenti; per di più rilanciando gli allarmi di coloro che vedono in ogni annuncio di riduzione di spesa, per quanto manifestamente parassitaria, la fine dei servizi pubblici.
Se gli asset non sono venduti e i costi non vengono ridotti, l'unica speranza resta nell'aumento del Pil nominale superiore ai costo del debito. Ma si tratta di due questioni che non dipendono direttamente dal governo.
E' ben comprensibile, quindi, l'invocazione ministeriale (e non solo) del QE per alleggerire ulteriormente il costo del debito e inflazionarlo (assieme al Pil). Ma affermare che il debito "è totalmente sotto controllo" significa semplicemente prendere a pugni la realtà.
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