Scorie - Solite keynesianate
"In un mondo ideale la crisi e la deflazione sarebbero affrontate con un vasto programma di investimenti europei, finanziati dal bilancio europeo e da eurobond. Infrastrutture, economia sostenibile, digitale, sono solo alcuni dei settori per i quali la scala ottimale dell'investimento è europea, e in cui un programma coordinato e di lungo periodo è necessario. Ma il mondo in cui viviamo non è ideale, e la fiera opposizione della Germania e di altri Paesi del nord a qualunque ipotesi di mutualizzazione del debito rende impossibile un piano di investimenti europei. La soluzione va quindi trovata a livello nazionale, senza tuttavia rinunciare al necessario coordinamento a livello europeo, unica garanzia per programmi efficaci e fiscalmente sostenibili."
(F. Saraceno)
Non passa giorno che non venga ospitato sul Sole 24 Ore (almeno) un articolo in cui l'autore invoca una cura keynesiana per i mali dell'Italia e dell'Europa. Francesco Saraceno ritiene che in "un mondo ideale la crisi e la deflazione sarebbero affrontate con un vasto programma di investimenti europei, finanziati dal bilancio europeo e da eurobond". E indica anche i settori in cui ritiene che gli investimenti pubblici su scala europea siano necessari. Peccato che la Germania e altri Paesi a essa satelliti siano cattivi ed egoisti, rendendo quello europeo un mondo tutt'altro che ideale. Fin qui nulla di nuovo.
E non particolarmente originale è anche la proposta di Saraceno.
"Con Kemal Dervis ho recentemente proposto di adottare, a livello europeo, una regola d'oro del tipo di quella applicata con successo dal Regno Unito tra il 1998 e il 2009. La regola prevede che le spese correnti siano finanziate dalle entrate correnti, ma che l'investimento pubblico possa essere finanziato con debito. Le spese per investimenti sarebbero in altre parole escluse dal calcolo del deficit, un concetto che timidamente si affaccia anche nel piano Juncker."
Siamo alla nota illusione di poter stabilire politicamente che cosa è deficit e che cosa non lo è, a prescindere dalla concreta necessità di trovare i soldi per finanziare la spesa.
Saraceno sostiene che la cosa funzionerebbe
"Si può mostrare che tale regola stabilizzerebbe il rapporto tra debito e Pil, e che garantirebbe l'equità intergenerazionale (alle generazioni future verrebbe trasferita parte del capitale pubblico insieme al debito che lo ha finanziato)."
Peccato che non fornisca dimostrazioni, o quanto meno un tentativo di dimostrazione (dell'indimostrabile). Lo dà per scontato ed evidentemente ritiene che il lettore debba fidarsi. Addirittura parla di equità intergenerazionale, totalmente a sproposito, non fosse altro per il fatto che il parere di coloro ai quali viene lasciato in eredità il debito non è richiesto, né viene loro chiesto cosa pensino del "capitale pubblico" in questione.
Prosegue Saraceno:
"Ma nella nostra proposta c'è di più. La golden rule non è un'idea nuova, e in passato è stata criticata perché introdurrebbe una distorsione in favore del capitale fisico e penalizzerebbe alcune spese che, classificate come correnti, sono in realtà cruciali per la crescita futura (siamo sicuri che spendere più per le università sia meno importante che costruire nuove autostrade?). Questa critica può tuttavia essere ribaltata e trasformata in un elemento di forza, e di coordinamento tra i Paesi europei. Ad intervalli regolari, per esempio in concomitanza con il negoziato sul budget europeo ogni sette anni, Commissione, Consiglio e Parlamento Europeo potrebbero accordarsi sulle priorità future per l'Unione, e stilare una lista di settori o di voci di spesa per i quali gli Stati membri potrebbero spendere in esenzione dai vincoli di bilancio. Programmi comuni tra Paesi limitrofi potrebbero essere incoraggiati prevedendo un cofinanziamento della Banca europea per gli investimenti."
Come ho più volte osservato commentando proposte di questo genere, si finisce per far rientrare alla voce "investimenti" qualsiasi cosa si stabilisca sia tale a livello politico.
La parte conclusiva è deprimente.
"Quello che Dervis e io proponiamo è insomma un ritorno, su scala europea, alla politica industriale e alla programmazione. L'investimento pubblico, lo Stato imprenditore, deve tornare a essere l'elemento centrale di una politica industriale europea di ampio respiro, capace di finanziare non solo l'investimento fisico, ma anche quello immateriale. In attesa di un vero bilancio federale, il grosso degli investimenti resterebbe competenza dei governi nazionali, in omaggio al principio di sussidiarietà. Ma la regola d'oro modificata consentirebbe di coordinarli e di orientarli al servizio del benessere e della crescita dell'Unione nel suo complesso."
Suppongo che Saraceno abbia usato il termine "programmazione" perché "pianificazione" gli sembrava un po' troppo sovietico. Ma la sostanza non cambia. Viene addirittura invocato "lo Stato imprenditore", delle cui prodezze in Italia (e non solo) paghiamo ancora le conseguenze nefaste.
Il tutto nella prospettiva di arrivare ad avere "un vero bilancio federale", che è il sogno di tutti i pianificatori europei e, credo, dovrebbe essere l'incubo di tutti i pagatori netti di tasse.
(F. Saraceno)
Non passa giorno che non venga ospitato sul Sole 24 Ore (almeno) un articolo in cui l'autore invoca una cura keynesiana per i mali dell'Italia e dell'Europa. Francesco Saraceno ritiene che in "un mondo ideale la crisi e la deflazione sarebbero affrontate con un vasto programma di investimenti europei, finanziati dal bilancio europeo e da eurobond". E indica anche i settori in cui ritiene che gli investimenti pubblici su scala europea siano necessari. Peccato che la Germania e altri Paesi a essa satelliti siano cattivi ed egoisti, rendendo quello europeo un mondo tutt'altro che ideale. Fin qui nulla di nuovo.
E non particolarmente originale è anche la proposta di Saraceno.
"Con Kemal Dervis ho recentemente proposto di adottare, a livello europeo, una regola d'oro del tipo di quella applicata con successo dal Regno Unito tra il 1998 e il 2009. La regola prevede che le spese correnti siano finanziate dalle entrate correnti, ma che l'investimento pubblico possa essere finanziato con debito. Le spese per investimenti sarebbero in altre parole escluse dal calcolo del deficit, un concetto che timidamente si affaccia anche nel piano Juncker."
Siamo alla nota illusione di poter stabilire politicamente che cosa è deficit e che cosa non lo è, a prescindere dalla concreta necessità di trovare i soldi per finanziare la spesa.
Saraceno sostiene che la cosa funzionerebbe
"Si può mostrare che tale regola stabilizzerebbe il rapporto tra debito e Pil, e che garantirebbe l'equità intergenerazionale (alle generazioni future verrebbe trasferita parte del capitale pubblico insieme al debito che lo ha finanziato)."
Peccato che non fornisca dimostrazioni, o quanto meno un tentativo di dimostrazione (dell'indimostrabile). Lo dà per scontato ed evidentemente ritiene che il lettore debba fidarsi. Addirittura parla di equità intergenerazionale, totalmente a sproposito, non fosse altro per il fatto che il parere di coloro ai quali viene lasciato in eredità il debito non è richiesto, né viene loro chiesto cosa pensino del "capitale pubblico" in questione.
Prosegue Saraceno:
"Ma nella nostra proposta c'è di più. La golden rule non è un'idea nuova, e in passato è stata criticata perché introdurrebbe una distorsione in favore del capitale fisico e penalizzerebbe alcune spese che, classificate come correnti, sono in realtà cruciali per la crescita futura (siamo sicuri che spendere più per le università sia meno importante che costruire nuove autostrade?). Questa critica può tuttavia essere ribaltata e trasformata in un elemento di forza, e di coordinamento tra i Paesi europei. Ad intervalli regolari, per esempio in concomitanza con il negoziato sul budget europeo ogni sette anni, Commissione, Consiglio e Parlamento Europeo potrebbero accordarsi sulle priorità future per l'Unione, e stilare una lista di settori o di voci di spesa per i quali gli Stati membri potrebbero spendere in esenzione dai vincoli di bilancio. Programmi comuni tra Paesi limitrofi potrebbero essere incoraggiati prevedendo un cofinanziamento della Banca europea per gli investimenti."
Come ho più volte osservato commentando proposte di questo genere, si finisce per far rientrare alla voce "investimenti" qualsiasi cosa si stabilisca sia tale a livello politico.
La parte conclusiva è deprimente.
"Quello che Dervis e io proponiamo è insomma un ritorno, su scala europea, alla politica industriale e alla programmazione. L'investimento pubblico, lo Stato imprenditore, deve tornare a essere l'elemento centrale di una politica industriale europea di ampio respiro, capace di finanziare non solo l'investimento fisico, ma anche quello immateriale. In attesa di un vero bilancio federale, il grosso degli investimenti resterebbe competenza dei governi nazionali, in omaggio al principio di sussidiarietà. Ma la regola d'oro modificata consentirebbe di coordinarli e di orientarli al servizio del benessere e della crescita dell'Unione nel suo complesso."
Suppongo che Saraceno abbia usato il termine "programmazione" perché "pianificazione" gli sembrava un po' troppo sovietico. Ma la sostanza non cambia. Viene addirittura invocato "lo Stato imprenditore", delle cui prodezze in Italia (e non solo) paghiamo ancora le conseguenze nefaste.
Il tutto nella prospettiva di arrivare ad avere "un vero bilancio federale", che è il sogno di tutti i pianificatori europei e, credo, dovrebbe essere l'incubo di tutti i pagatori netti di tasse.
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