Scorie - Rimedi di breve, conseguenze di lungo

Chi anche in tempi ordinari ritiene che lo Stato debba agire in modo (pesantemente) keynesiano, in questi tempi straordinari alza la cresta e anche la posta.

Lo fa, per esempio, Riccardo Realfonzo, che, come prevedibile, sostiene la tesi della soluzione unitaria a livello europeo con forte dispiegamento di spesa pubblica solidale e monetizzata dalla BCE.

Secondo Realfonzo:

"La crisi impatta su una economia internazionale debole per gli squilibri accumulati nella recessione successiva al tonfo del 2008."

Questa frase rappresenta a mio parere il problema principale ed è quella che inficia il ragionamento successivo. Gli squilibri hanno certamente continuato ad accumularsi dopo il 2008, ma non per via della recessione.

Gli squilibri hanno in primo luogo generato la crisi del 2008, e non derivavano da difetti intrinseci del mercato, ma da interventi (monetari e non solo) volti a indirizzarne gli esiti. Al tempo stesso, i nuovi massicci interventi adottati dal 2008 in poi hanno generato nuovi squilibri, che hanno reso il sistema molto più precario all'insorgere della pandemia da Covid-19.

Ne consegue che le supposte "cure" auspicate da Realfonzo non faranno altro che rimandare e ingigantire i problemi, per quanto nell'immediato a molti sembrino l'unica via di uscita.

"Occorrono controlli sui mercati dei capitali, liquidità a sostegno della domanda privata e a garanzia della solvibilità dei sistemi bancari e produttivi, eventuali nazionalizzazioni; inoltre, va predisposto un piano di investimenti pubblici che parta dal settore sanitario e dalle aree in cui si verificano fallimenti del mercato (welfare, infrastrutture, istruzione, ambiente). Per tutto ciò non basta la politica monetaria con il Pandemic emergency purchase programme (Pepp) varato dalla Bce, né è sufficiente la sospensione dei vincoli di bilancio del Patto di Stabilità. Occorre una azione concertata ed espansiva delle politiche fiscali, con centralizzazione dei finanziamenti."

Il tutto, ovviamente, senza alcuna condizionalità, perché "una buona soluzione è quella di prevedere (gli espedienti tecnico-giuridici possono essere diversi, e tra questi gli eurobond) che la Bce finanzi in modo sostanzialmente diretto le politiche fiscali, monetizzando il nuovo deficit europeo, senza che ciò impatti sulla finanza pubblica dei singoli Paesi."

In definitiva, si arriverebbe a un sistema integralmente socialista a livello (almeno) europeo. Non che gli interventi decisi fino a oggi non puntino dritto verso quello scenario, peraltro, considerando che la BCE e le altre principali banche centrali si apprestano, di fatto, a determinare (o almeno a cercare di farlo) tanto il livello dei tassi di interesse su tutte le scadenze, quanto i premi per il rischio.

Passata l'emergenza, ci si dovrà prima o poi rendere conto che tornare indietro non sarà affatto semplice (ammesso, e non è scontato, che chi detiene il potere lo voglia fare). Basti pensare al tentativo di riduzione degli stimoli monetari del biennio che ha preceduto il 2019, un po' meno timido da parte della Fed e decisamente più impalpabile da parte della BCE (che ha interrotto il quantitative easing per soli pochi mesi): anno negativo per quasi tutti gli asset finanziari nel 2018, rallentamento delle economie e conseguente marcia indietro delle banche centrali.

Il problema è che il socialismo prima o poi implode. Come dimostrò Ludwig von Mises, il sistema regge, ancorché con un deterioramento continuo, fino a quando non scompare del tutto il sistema dei prezzi di mercato. Arrivati a quel punto, domanda e offerta sono del tutto artificiali. Siccome il pianificatore centrale non è onnisciente, il sistema finisce per implodere.

Questo processo può richiedere tempo, ma sarebbe illusorio pensare che questa volta sarebbe diverso e che potremmo avere economie totalmente pianificate e (ben) funzionanti. Mi rendo conto che molti considerino inevitabile tutto quello che sta succedendo. Non si tratta certamente di negare l'eccezionalità del momento. Ciò non toglie che le conseguenze dei provvedimenti assunti in questa fase di emergenza non saranno indolori. E non sarà colpa del mercato o dell'immancabile "libbberismo" quando queste conseguenza si materializzeranno.

 "Se io domenica mattina vado a votare - ha sottolineato il Cardinale- è perché sono convinto che esista un bene comune che riguarda te, riguarda tutti noi. Siamo un 'noi' di cui dobbiamo tenere conto. E mi fa paura, invece, questo atteggiamento individualistico, in fondo, di non scegliere. E, poi, quante nazioni ci sono nel mondo dove non si vota, dove c'è una testa che ha già pensato tutto... In fondo noi viviamo in una democrazia... E' un valore aggiunto anche la democrazia. In democrazia senti cose dritte, senti cose storte, senti cose che condividi e non condividi... Certamente tutti abbiamo il dovere di informarci, di farci una coscienza. Il voto è esprimere un giudizio".

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