Scorie - L'iniquo compenso




In un Paese in cui, prima che al Parlamento entrassero i "cittadini" del M5S, Camera e Senato erano pieni di persone in maggioranza iscritte a qualche ordine professionale, l'abolizione delle tariffe non è mai piaciuta fino in fondo.
Quindi ecco rientrare le tariffe minime dalla finestra, con il nome di equo compenso. E con tanto di dotte prese di posizione in sua difesa. Come quella di Franco Gallo sul Sole 24Ore.

"È evidente che quest'ultima legge ripara ad una disattenzione delle vecchie maggioranze parlamentari verso il comparto del lavoro professionale, che è andata di pari passo con vaste politiche di tutela del lavoro subordinato e con una altrettanto vasta azione di sostegno ed incentivazione del mondo delle imprese. Il legislatore si è ora reso finalmente conto che a nulla rileva che il potere economico che si contrappone al lavoratore sia quello datoriale o quello di un committente, cioè il potere di un soggetto che conferisce un incarico nell'ambito di un contratto d'opera professionale. Ciò che conta è che esiste una situazione di squilibrio tra le due parti del rapporto di lavoro, che giustifica un intervento statale diretto ad evitare fenomeni di sfruttamento e veri e propri abusi in danno del lavoratore, sia esso lavoratore subordinato sia esso «lavoratore autonomo non imprenditoriale». In altri termini, ci si è accorti, seppure in ritardo, che è lavoratore non solo l'operaio o il contadino, ma anche il professionista e che questi non può sempre identificarsi con l'imprenditore."

In altre parole, un professionista è un lavoratore autonomo non imprenditore, quindi deve essere tutelato dallo Stato. Mentre un panettiere, che nella maggior parte dei casi ha un'attività a conduzione familiare, deve badare a se stesso.

Personalmente credo che ognuno debba badare a se stesso ed essere lasciato in pace dallo Stato, ma andiamo pure oltre.

Per essere "equo", il compenso deve essere "proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto e al contenuto e alla caratteristica della prestazione".

Ora, finché si tratta di quantità è semplice mettersi d'accordo. Ma la qualità è definibile in modo soggettivo, per cui ciò che io ritengo di elevata qualità potrebbe non esserlo per altri. Che sia lo Stato a determinare la qualità e ad essa associare un compenso minimo è allucinante. Il panettiere di cui sopra ogni giorno è soggetto a una valutazione di qualità da parte dei suoi clienti.

Ma Gallo va avanti:

"Si prende definitivamente atto che esiste una norma costituzionale, quella appunto dell'art. 36, che offre una via – più diretta di quella dell'abuso di dipendenza economica – per garantire al professionista il diritto all'equo compenso. Se, infatti, nella Costituzione il lavoro è protetto in tutte le sue forme ed applicazioni dagli artt. 35 e 36 e se, sempre nella Costituzione, il lavoratore è il termine con cui ci si riferisce a tutti coloro che lavorano e non ad una sola classe sociale, è evidente che anche il professionista ha pieno diritto a un compenso che sia correlato alla qualità e alla quantità del lavoro svolto".
 
Anche il panettiere di cui sopra lavora, ma è sempre la sua clientela a stabilire se lo fa con adeguata quantità e, soprattutto, qualità.

"L'introduzione del principio dell'equo compenso ha trovato anche una sua ragion d'essere nella gravità della crisi economica e finanziaria iniziata nel 2008, che ha colpito le diverse forme di lavoro non subordinato ed ha posto spesso i professionisti italiani alla mercé di soggetti economicamente forti in grado di imporre clausole vessatorie. Questa crisi ha prodotto, infatti, nel nostro Paese un netto impoverimento dei professionisti, misurabile attraverso i dati raccolti per finalità istituzionali dalle Casse di assistenza e previdenza cui è obbligatoriamente iscritto chi esercita. Nell'area delle professioni giuridiche, in soli sei anni (dal 2009 al 2015) la flessione dei redditi è stata del 23,82%. Per ingegneri e architetti, la flessione è stata del 20,05%".

Probabilmente Gallo non se n'è accorto, ma nello stesso periodo centinaia di migliaia di imprese hanno chiuso i battenti. E, soprattutto quelle piccole, non hanno avuto nessuna tutela.

"Non è mancato chi ha criticato la previsione di un diritto dell'equo compenso richiamando la disciplina della concorrenza ed adombrando il rischio che, attraverso l'esplicita attribuzione di un tale diritto, si ripristinino surrettiziamente gli aboliti sistemi tariffari".

Ma va…

"La nuova normativa, invece, limita l'applicazione del regime dell'equo compenso alle imprese bancarie ed assicurative e alla Pubblica amministrazione, e cioè ai soggetti che hanno una particolare rilevanza economica e una notevole forza contrattuale, escludendo le piccole e medie imprese individuate dalla raccomandazione 2003/361 della Commissione europea".

Beh, così sì che si salva la forma assieme alla sostanza. Almeno per Gallo:

"Non mi sembra che la norma, così interpretata, comporti alcuna deroga alle regole della concorrenza e al processo di liberalizzazione e, comunque, sia in grado di far rivivere il generale regime dei minimi tariffari".

Al di là delle più o meno palesi arrampicate sugli specchi da parte di Gallo, c'è un problema economico ineludibile ogni volta che per legge si introduce un livello minimo a qualsivoglia prezzo: una parte dell'offerta è tagliata fuori dal mercato. E purtroppo si tratta sempre di quella parte che i provvedimenti legislativi vorrebbero tutelare.

Forse solo a parole.


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