Scorie - The (bad) conscience of a liberal (48)
Paul Krugman è solito apostrofare gli economisti che la pensano diversamente da lui con qualche variazione su due temi: o sono ignoranti o sono politicizzati. A volte sono sia ignoranti che politicizzati.
Il fatto è che Krugman, quanto meno sul "politicizzati", attribuisce ad altri un atteggianmento che lo riguarda in prima persona. Semplicemente coloro che lui considera politicizzati hanno idee politiche diverse dalle sue, ovvero non sono (abbastanza) sinistrorsi.
Guardando agli ultimi dati sul mercato del lavoro statunitense, Krugman individua una nota dolente: "la crescita dei salari resta molto più bassa rispetto a prima della crisi del 2008".
Come mai?
"E questo mi fa tornare in mente una polemica che infuriava quattro o cinque anni fa, durante quella che oggi sembra un'età dell'oro, quando i fatti e il dibattito ragionato davano l'impressione di poter influenzare realmente la politica economica."
Si noti che anche cinque anni fa Krugman aveva lo stesso atteggiamento di oggi nei confronti di coloro che la pensano diversamente da lui.
"In ogni caso, all'epoca la disoccupazione era ancora molto alta rispetto al livello pre-crisi e alcuni di noi raccomandavano misure forti - in particolare investimenti infrastrutturali - per potenziare la domanda. Ma alcuni economisti sostenevano che le ragioni della disoccupazione alta erano «strutturali», che le competenze professionali della forza lavoro non erano in linea con quello di cui aveva bisogno l'economia. Probabilmente era una visione minoritaria all'interno della professione, ma predominante tra i commentatori di Washington."
Accidenti, come mai neppure Obama dava ascolto a un luminare della materia, per di più sinistrorso?
"Gli antistrutturalisti (o «domandisti») cercavano di far notare che se la storia del disallineamento di competenze fosse stata vera, avrebbe dovuto esserci una forte pressione al rialzo sui salari di quei lavoratori che avevano le competenze giuste, mentre di guadagni salariali non c'era traccia o quasi."
Adesso viene il bello.
"Ed eccoci qui: non c'è stato nessun significativo cambiamento delle competenze della forza lavoro, eppure la disoccupazione ora è più bassa che nel 2007, e la crescita dei salari è ancora bassa. I domandisti avevano ragione."
Come no.
"Ha importanza? Dopo tutto, a questo punto siamo più o meno tornati ai livelli di piena occupazione, anche se quei dati sui salari sembrano indicare che c'è ancora un po' di strada da fare. Ma siamo rimasti per molto tempo con una disoccupazione superiore al normale: ci sono voluti nove anni perché il tasso tornasse al livello del dicembre 2007 (il 4,7%), e il tasso medio in quel periodo è stato del 7,3 per cento. Usando la legge di Okun, questo implica un sottoutilizzo medio della capacità produttiva di circa il 5% nel periodo in esame, quindi una perdita pari al 45% del Pil di un anno, più o meno 8mila miliardi di dollari. E non era inevitabile perdere questi 8mila miliardi di dollari: una politica di stimoli continuativi all'occupazione avrebbe potuto eliminarne la maggior parte."
A Krugman non interessa, evidentemente, prendere in considerazione l'ipotesi che alla vigilia della crisi il mercato del lavoro fosse distorto, molto sbilanciato, per esempio, sull'edilizia e l'immobiliare in generale. Ma non è questo il punto su cui vorrei soffermarmi.
Piuttosto trovo allucinante il gioco di numeri messo in piedi da Krugman, che arriva a quantificare la perdita di Pil in 8 trilioni di dollari con grande leggerezza, per di più dando per scontato che sia un calcolo corretto. Come se fosse prevedibile il futuro.
Ma la soluzione keynesiana proposta da Krugman avrebbe funzionato? Probabilmente avrebbe dato una spinta temporanea al Pil, generando, però, un ulteriore peggioramento dei già deteriorati conti pubblici statunitensi.
Perché il mitico moltiplicatore che consente di auto ripagare la spesa pubblica non ha mai funzionato come previsto dai keynesiani.
Comunque Krugman, ancora traumatizzato dall'arrivo di Trump alla Casa Bianca dopo oltre un anno dalle presidenziali, potrebbe prendere in considerazione di trasferirsi in Italia, per contribuire alla stesura del programma di governo del M5S. Qui suppongo che lo ascolterebbero (ahimè).
Commenti
Posta un commento