Scorie - Il partito degli investimenti pubblici (2/2)
Ancora a proposito del partito degli "investimenti pubblici", ho letto di recente un articolo in cui Pierluigi Ciocca ne descrive con enfasi i benefici per l'economia e anche i conti pubblici.
"Se l'effetto di produttività degli investimenti è notevole nel medio termine, quello sulla domanda lo è anche nel breve periodo. Secondo l'econometria dell'Imf, sotto favorevoli condizioni, il moltiplicatore di "buoni" investimenti pubblici – che trascinano gli stessi investimenti privati – può superare 2 nell'arco di due-tre anni. Al confronto, il moltiplicatore dei consumi pubblici, dei trasferimenti, della detassazione è molto più basso: in Italia non supera 0,7-0,8."
Credo che sia opportuno evidenziare l'inciso "sotto favorevoli condizioni", perché è proprio quello che, solitamente, fa la differenza tra un modello econometrico e la realtà. Nel senso che tutti i modelli econometrici funzionano sulla carta. Purtroppo, però, le condizioni perché funzionino nella realtà non si verificano, se non per pura casualità. Altrimenti avremmo da tempo abbandonato questa valle di lacrime e vivremmo nel bengodi generale.
Se nelle parole di Ciocca intravedete del keynesismo, intravedete bene. Prosegue Ciocca:
"Se i due punti di Pil rivolti dal Governo Renzi a trasferimenti e sgravi a famiglie e imprese fossero stati investiti, l'aumento del Pil sarebbe risultato più che doppio rispetto al deludente 1% l'anno registrato dopo l'ultima recessione. Data l'elasticità al Pil del rapporto disavanzo pubblico/Pil (circa 0,5), l'investimento pubblico coperto all'avvio con debito può autofinanziarsi, ceteris paribus, in un biennio ("golden rule"). L'effetto espansivo non verrebbe meno neanche nel caso in cui l'investimento fosse alimentato con imposte."
In altri termini, sempre a patto di essere "sotto favorevoli condizioni", non solo non devono essere abbassate le tasse, ma possono anche essere aumentate, perché gli investimenti avrebbero comunque un effetto espansivo.
Per inciso, questo è quanto avviene in Giappone da oltre due decenni. Dove, però, alla faccia dell'autofinanziamento degli investimenti pubblici, si è accumulato un debito pubblico pari al 250 per cento del Pil. Probabilmente le condizioni non sono state "favorevoli".
Ciò non mette alcun dubbio a Ciocca, però. Il quale conclude:
"Non vi è altra via per rinvigorire l'esangue economia italiana. È la lezione di Keynes, che, contrariamente a quanto pensa chi non l'ha letto, aborriva il disavanzo dello Stato, il debito pubblico, lo "scavare le buche" e affidava l'investimento pubblico al controllo della composizione del bilancio."
Ammetto di non aver letto tutto quanto scrisse Keynes, ma la "Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta" l'ho letta dalla prima all'ultima pagina. Condivido l'idea che Keynes abbia in Italia più commentatori che lettori, ma ciò riguarda non solo i critici, bensì anche gli entusiasti. I quali, oltre all'accademia, hanno pervicacemente occupato posti di rilievo nella politica (trasversalmente) e nei ministeri, tanto nella prima quanto nella seconda repubblica.
Suppongo che Keynes non avrebbe condiviso tutto l'interventismo posto in essere ispirandosi ai suoi insegnamenti. Probabilmente avrebbe considerato i fallimenti del keynesismo come errori di applicazione, anche se, valutando le esperienze di circa otto decenni, qualche dubbio sulla correttezza della sua teoria non sarebbe stato fuori luogo neppure da parte sua.
Resta il fatto che lo "scavare le buche" non è una caricatura. Keynes lo scrisse davvero. Così come scrisse davvero l'introduzione all'edizione tedesca della teoria Generale, nella quale informava il lettore che la sua teoria avrebbe trovato applicazione più agevole in un contesto in cui il governo avesse avuto maggior "potere decisionale" (concedetemi l'eufemismo) rispetto al Regno Unito.
L'utilizzo del deficit (accompagnato da politica monetaria espansiva) nelle intenzioni avrebbe dovuto avere funzione anticiclica, ma chissà perché il momento di rientrare dal deficit non arrivava (non arriva) mai. E il deficit, invece di moltiplicare il Pil, ha moltiplicato il debito.Considerando i precedenti e le condizioni attuali dei debiti pubblici (a partire dall'Italia), eviterei di parlare ancora di investimenti a debito che si autofinanziano.
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