Scorie - Molto peggio di una sciocchezza
"Dire che le tasse si abbassano solo tagliando la spesa è una sciocchezza, non sarà la strada dell'Italia… non sforeremo il 3 per cento, ma ci serviremo di quella flessibilità prevista dal fiscal compact."
(M. Renzi)
In attesa di conoscere come sarà la legge di stabilità per il 2016, capita un giorno sì e l'altro pure di sentire annunci su imminenti e corposi tagli di tasse da parte di Renzi.
Ovviamente la prima domanda che ogni persona dotata di un minimo di buon senso e di una conoscenza anche approssimativa dei conti pubblici della Repubblica italiana è: dove troverà il governo le risorse per finanziare tutti quei tagli di tasse?
Dato che oltre 16 miliardi servono solo per evitare aumenti di Iva e accise e che dalla famosa spending review finora sono arrivate tante parole e fatti impalpabili, la risposta a la domanda è fondamentale per capire se si sta parlando al vento oppure no.
Considerando che la legge di stabilità sarà, pare, nell'ordine di 25 miliardi e che dalla spending review, peraltro per lo più sotto forma di riduzioni di agevolazioni fiscali (il che, nella sostanza, genera un aumento di gettito fiscale ed è quindi un aumento di tasse per chi perde quelle agevolazioni), arriveranno, per chi ci vuole credere, 10 miliardi, è evidente che per far quadrare i conti ci sono solo due possibilità: altre tasse, oppure altro deficit.
Renzi finora ha praticato entrambe le vie, ovviamente occultando (o cercando di farlo) l'aumento di talune tasse e usando il termine "flessibilità" per descrivere il maggior deficit. E' vero che l'Italia sta contenendo il deficit entro il 3 per cento del Pil, ma ogni anno contratta con la Ue qualche decimale di deficit in più degli obiettivi fissati l'anno prima, rimandando sia il raggiungimento del pareggio di bilancio, sia la riduzione del rapporto tra debito e Pil.
La convinzione è che fare più deficit sia benefico per l'economia. Purtroppo il Pil, soprattutto nel breve periodo, può in effetti risultare gonfiato da una crescita del deficit, dato che la spesa pubblica è un componente positivo del prodotto medesimo.
Ma accumulando deficit si gonfiano sia l'invadenza dello Stato nell'economia, sia il debito pubblico. Sommando entrate e uscite, lo Stato italiano "pesa" sull'economia per il 100,3 per cento del Pil. Ovviamente i keynesiani giustificano i risultati deludenti di questo attivismo statale sostenendo che i soldi sono stati spesi male, gonfiando la spesa corrente e riducendo gli investimenti. Promettono anche che in futuro le cose potrebbero andare meglio se solo il deficit servisse a finanziate gli investimenti giusti. Il problema è che questi investimenti giusti latitano. Sarà sempre stata sfiga? Io ne dubito.
Nel frattempo, però, più deficit oggi corrisponde a un conto più salato domani. Per cui tecnicamente Renzi ha ragione: le tasse possono essere abbassate senza ridurre la spesa. Ma tagliare le tasse allargando il deficit, a maggior ragione in Italia, non sarebbe altro che una pericolosa presa in giro di chi pagherà le tasse domani. Molto peggio di una sciocchezza.
(M. Renzi)
In attesa di conoscere come sarà la legge di stabilità per il 2016, capita un giorno sì e l'altro pure di sentire annunci su imminenti e corposi tagli di tasse da parte di Renzi.
Ovviamente la prima domanda che ogni persona dotata di un minimo di buon senso e di una conoscenza anche approssimativa dei conti pubblici della Repubblica italiana è: dove troverà il governo le risorse per finanziare tutti quei tagli di tasse?
Dato che oltre 16 miliardi servono solo per evitare aumenti di Iva e accise e che dalla famosa spending review finora sono arrivate tante parole e fatti impalpabili, la risposta a la domanda è fondamentale per capire se si sta parlando al vento oppure no.
Considerando che la legge di stabilità sarà, pare, nell'ordine di 25 miliardi e che dalla spending review, peraltro per lo più sotto forma di riduzioni di agevolazioni fiscali (il che, nella sostanza, genera un aumento di gettito fiscale ed è quindi un aumento di tasse per chi perde quelle agevolazioni), arriveranno, per chi ci vuole credere, 10 miliardi, è evidente che per far quadrare i conti ci sono solo due possibilità: altre tasse, oppure altro deficit.
Renzi finora ha praticato entrambe le vie, ovviamente occultando (o cercando di farlo) l'aumento di talune tasse e usando il termine "flessibilità" per descrivere il maggior deficit. E' vero che l'Italia sta contenendo il deficit entro il 3 per cento del Pil, ma ogni anno contratta con la Ue qualche decimale di deficit in più degli obiettivi fissati l'anno prima, rimandando sia il raggiungimento del pareggio di bilancio, sia la riduzione del rapporto tra debito e Pil.
La convinzione è che fare più deficit sia benefico per l'economia. Purtroppo il Pil, soprattutto nel breve periodo, può in effetti risultare gonfiato da una crescita del deficit, dato che la spesa pubblica è un componente positivo del prodotto medesimo.
Ma accumulando deficit si gonfiano sia l'invadenza dello Stato nell'economia, sia il debito pubblico. Sommando entrate e uscite, lo Stato italiano "pesa" sull'economia per il 100,3 per cento del Pil. Ovviamente i keynesiani giustificano i risultati deludenti di questo attivismo statale sostenendo che i soldi sono stati spesi male, gonfiando la spesa corrente e riducendo gli investimenti. Promettono anche che in futuro le cose potrebbero andare meglio se solo il deficit servisse a finanziate gli investimenti giusti. Il problema è che questi investimenti giusti latitano. Sarà sempre stata sfiga? Io ne dubito.
Nel frattempo, però, più deficit oggi corrisponde a un conto più salato domani. Per cui tecnicamente Renzi ha ragione: le tasse possono essere abbassate senza ridurre la spesa. Ma tagliare le tasse allargando il deficit, a maggior ragione in Italia, non sarebbe altro che una pericolosa presa in giro di chi pagherà le tasse domani. Molto peggio di una sciocchezza.
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