Scorie - Verità a scoppio ritardato
"Il mio governo in pochi giorni ha messo in campo la riforma delle pensioni e la riforma della tassazione, introducendo di fatto una patrimoniale. Riforme concrete, non slides."
(M. Monti)
Dopo quasi tre anni, finalmente Mario Monti usa il termine corretto per quella che nel decreto da lui stesso definito "Salva Italia" era ipocritamente definita come modifica dell'imposta di bollo sulle comunicazioni relative ai prodotti finanziari.
Che la modifica voluta da Monti costituisse di fatto l'introduzione di una imposta patrimoniale era evidente, ma per lungo tempo è stato ritenuto utile non chiamare quel balzello con il nome a esso più appropriato.
Il professore e senatore a vita, rivendicando quanto fatto all'epoca in pochi giorni in confronto alle presentazioni in power point e alle chiacchiere dell'attuale inquilino di Palazzo Chigi, omette però di elencare quanto non volle includere in quel pacchetto.
In primo luogo la riforma del mercato del lavoro, che si trascinò poi per mesi e risultò essere un obbrobrio che penalizzava l'utilizzo dei contratti a termine senza rendere più conveniente quello a tempo indeterminato, modificava l'articolo 18 dello statuto dei lavoratori finendo per rendere ancora più arbitrario il potere dei magistrati e a conti fatti diede una mazzata al già precario andamento dell'occupazione.
In secondo luogo, e direi soprattutto, la spending review, che anche con il governo tecnico rimase in buona sostanza argomento per chiacchiere, senza produrre risultati riconoscibili.
Alla fine, di concreto ci furono per lo più delle randellate fiscali, e non saprei dire se siano peggio le sceneggiate di oggi con le slides o le lacrime di allora del ministro Fornero. Di certo, si tratta di scegliere tra il male e il peggio.
(M. Monti)
Dopo quasi tre anni, finalmente Mario Monti usa il termine corretto per quella che nel decreto da lui stesso definito "Salva Italia" era ipocritamente definita come modifica dell'imposta di bollo sulle comunicazioni relative ai prodotti finanziari.
Che la modifica voluta da Monti costituisse di fatto l'introduzione di una imposta patrimoniale era evidente, ma per lungo tempo è stato ritenuto utile non chiamare quel balzello con il nome a esso più appropriato.
Il professore e senatore a vita, rivendicando quanto fatto all'epoca in pochi giorni in confronto alle presentazioni in power point e alle chiacchiere dell'attuale inquilino di Palazzo Chigi, omette però di elencare quanto non volle includere in quel pacchetto.
In primo luogo la riforma del mercato del lavoro, che si trascinò poi per mesi e risultò essere un obbrobrio che penalizzava l'utilizzo dei contratti a termine senza rendere più conveniente quello a tempo indeterminato, modificava l'articolo 18 dello statuto dei lavoratori finendo per rendere ancora più arbitrario il potere dei magistrati e a conti fatti diede una mazzata al già precario andamento dell'occupazione.
In secondo luogo, e direi soprattutto, la spending review, che anche con il governo tecnico rimase in buona sostanza argomento per chiacchiere, senza produrre risultati riconoscibili.
Alla fine, di concreto ci furono per lo più delle randellate fiscali, e non saprei dire se siano peggio le sceneggiate di oggi con le slides o le lacrime di allora del ministro Fornero. Di certo, si tratta di scegliere tra il male e il peggio.
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