Scorie - Non è mai abbastanza
"L'unico rischio immediato per un successo nel ritorno alla forza economica
negli Stati Uniti è una politica monetaria inetta. Se consentiamo ai nostri
banchieri centrali di mantenere i tassi di interesse reali privi di rischio
troppo alti, soffochiamo il desiderio di individui e istituzioni di
assumere rischi. E senza l'assunzione di rischi non ci saranno rendimenti.
Il Giappone ci ha dimostrato quanto tassi di interesse reali elevati e una
politica monetaria troppo restrittiva possano distruggere la crescita
economica potenziale."
(D. Zervos)
Tra gli economisti che lavorano per società di Wall Street (e che spesso
amano farsi chiamare "market strategist", usando in modo inappropriato il
termine "market" e forse anche "strategist"), David Zervos è uno dei più
convinti fautori di politiche monetarie keynesiane. Per un keynesiano i
tassi di interesse sono sempre e comunque troppo alti, e se non lo sono in
termini nominali, lo sono in termini reali.
Ne consegue che una banca centrale deve sempre e comunque adottare
politiche monetarie espansive, a meno che non sia raggiunta la piena
occupazione e non ci sia un aumento eccessivo dei prezzi al consumo. Se
poi, strada facendo e denaro stampando, si gonfiano bolle, bisogna cercare
di evitare il loro sgonfiamento o, peggio lo scoppio.
Il tutto perché, con una politica monetaria "inetta" (dove inetta significa
non abbastanza espansiva), "soffochiamo il desiderio di individui e
istituzioni di assumere rischi" (quello che Keynes definiva "spiriti
animali"). Il problema è che la politica monetaria espansiva, abbassando
artificialmente i tassi di interesse (e i premi per il rischio), finisce
per far apparire redditizi anche investimenti che non lo sarebbero in
assenza di tali politiche espansive, e che si dimostrerebbero fallimentari
qualora le politiche medesime non continuassero a ritmi crescenti.
La cosa paradossale è l'atteggiamento dei keynesiani di fronte al caso del
Giappone. Invece di considerarlo un caso di clamoroso fallimento del
keynesismo, ci si sente ripetere che il Giappone non ha fatto abbastanza in
ormai oltre 20 anni.
Si tratta, peraltro, di una delle affermazioni che ogni keynesiano
tipicamente ripete di fronte all'evidenza contraria a ciò che
prescriverebbe la teoria. L'altra, solitamente accoppiata, consiste nel
sostenere che le cose sarebbero andate ancora peggio se non si fossero
adottate le ricette keynesiane.
In pratica, la dose non è mai sufficiente, e quando poi l'economia va in
overdose si vorrebbe aumentare ancora la somministrazione della stessa
medicina.
Ma quanto dovrà essere grande la crisi per buttare definitivamente alle
ortiche questa roba?
negli Stati Uniti è una politica monetaria inetta. Se consentiamo ai nostri
banchieri centrali di mantenere i tassi di interesse reali privi di rischio
troppo alti, soffochiamo il desiderio di individui e istituzioni di
assumere rischi. E senza l'assunzione di rischi non ci saranno rendimenti.
Il Giappone ci ha dimostrato quanto tassi di interesse reali elevati e una
politica monetaria troppo restrittiva possano distruggere la crescita
economica potenziale."
(D. Zervos)
Tra gli economisti che lavorano per società di Wall Street (e che spesso
amano farsi chiamare "market strategist", usando in modo inappropriato il
termine "market" e forse anche "strategist"), David Zervos è uno dei più
convinti fautori di politiche monetarie keynesiane. Per un keynesiano i
tassi di interesse sono sempre e comunque troppo alti, e se non lo sono in
termini nominali, lo sono in termini reali.
Ne consegue che una banca centrale deve sempre e comunque adottare
politiche monetarie espansive, a meno che non sia raggiunta la piena
occupazione e non ci sia un aumento eccessivo dei prezzi al consumo. Se
poi, strada facendo e denaro stampando, si gonfiano bolle, bisogna cercare
di evitare il loro sgonfiamento o, peggio lo scoppio.
Il tutto perché, con una politica monetaria "inetta" (dove inetta significa
non abbastanza espansiva), "soffochiamo il desiderio di individui e
istituzioni di assumere rischi" (quello che Keynes definiva "spiriti
animali"). Il problema è che la politica monetaria espansiva, abbassando
artificialmente i tassi di interesse (e i premi per il rischio), finisce
per far apparire redditizi anche investimenti che non lo sarebbero in
assenza di tali politiche espansive, e che si dimostrerebbero fallimentari
qualora le politiche medesime non continuassero a ritmi crescenti.
La cosa paradossale è l'atteggiamento dei keynesiani di fronte al caso del
Giappone. Invece di considerarlo un caso di clamoroso fallimento del
keynesismo, ci si sente ripetere che il Giappone non ha fatto abbastanza in
ormai oltre 20 anni.
Si tratta, peraltro, di una delle affermazioni che ogni keynesiano
tipicamente ripete di fronte all'evidenza contraria a ciò che
prescriverebbe la teoria. L'altra, solitamente accoppiata, consiste nel
sostenere che le cose sarebbero andate ancora peggio se non si fossero
adottate le ricette keynesiane.
In pratica, la dose non è mai sufficiente, e quando poi l'economia va in
overdose si vorrebbe aumentare ancora la somministrazione della stessa
medicina.
Ma quanto dovrà essere grande la crisi per buttare definitivamente alle
ortiche questa roba?
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