Scorie - Volere i confini aperti non significa essere libertari
Cosa c'è di meglio che intervistare un intellettuale liberal (ossia socialdemocratico) americano in merito alle sconfitte planetarie che stanno riportando i partiti di sinistra a scapito di formazioni "populiste"?
Considerando che il "dibbbattito" nel Belpaese è animato da un lato dal boldrinismo (che, nei fatti, porta più voti a Salvini di quanti riesca a procurarsene lui stesso tra comizi, tweet e video su FB con ritmi da 24-7-365) e dall'altro dalle convulsioni del PD, rivolgersi a un pezzo da novanta come Michael Walzer è sembrata qualche tempo fa una scelta illuminante per Paolo Matrolilli della Stampa.
Nella sua critica alla sinistra, Walzer afferma anche:
"Non credo nei confini aperti, non sono un libertario, e penso che i Paesi abbiano diritto a limitare gli arrivi. La sinistra avrebbe dovuto dire queste cose."
Credo sia bene fare chiarezza. Ci sono certamente persone che si definiscono libertarie e che sono a favore dei confini aperti a spese di tutti (i cosiddetti left libertarians).
Ma essere libertari a mio parere dovrebbe significare porre al centro del proprio codice etico il rispetto del principio di non aggressione. Ognuno dovrebbe essere libero di ospitare nella sua proprietà chiunque ritenga opportuno finché ciò fosse compatibile con il principio di non aggressione.
Nessuno, però, dovrebbe imporre ad altri di ospitare chi non desidera o di farsi carico economicamente di tale ospitalità.
Il problema è che quando queste decisioni sono demandate agli Stati è inevitabile che il principio di non aggressione sia violato.
Essere libertari significa (dovrebbe significare) non consentire allo Stato di fare cose che sarebbero illegittime se fatte da un individuo. Così come nessuna persona può legittimamente imporre (vietare) al vicino di casa di ospitare qualcuno, così non dovrebbe poterlo fare lo Stato.
Null'altro.
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