Scorie - Editori di giornali sempre a caccia di denaro altrui
Che battere cassa nei confronti del governo per attingere al denaro dei pagatori di tasse sia parte integrante del ruolo non lo dubito. Ciò nondimeno trovo del tutto non condivisibili le parole del neopresidente Fieg, Andrea Riffeser Monti, in merito ai meriti per i quali la stampa dovrebbe (continuare a) godere di contributi pubblici.
"Va senz'altro ricreato un rapporto di fiducia con i lettori. I giornali, quelli pubblicati dagli editori che fanno questo mestiere con convinzione e senso di responsabilità, hanno una funzione sociale, risolvono problemi alla gente. Pensiamo ad esempio alle raccolte fondi per il terremoto. Attenzione però: alla base ci sono persone, i giornalisti, che devono fare il loro lavoro con professionalità. Questo significa, evidentemente, dare al settore le risorse necessarie."
A parte il pessimo gusto di utilizzare l'esempio delle raccolte di fondi per il terremoto, tutti coloro che offrono un bene o un servizio possono avere una "funzione sociale" e "risolvono problemi alla gente". Non per questo tutti reclamano una sorta di diritto ad avere contributi pubblici.
Un panettiere risolve indubbiamente il problema della gente che sceglie di essere sua cliente, e in questo ha una funzione sociale. Eppure non percepisce alcun contributo pubblico. E questo è solo un esempio tra i tanti che si potrebbero fare.
Ma il presidente Fieg aggiunge:
"La crisi ci ha imposto di tagliare tanto negli ultimi 10 anni. Come hanno fatto la Francia o altri Paesi io penso che il Governo debba però guardare con interesse a finanziamenti e iniziative di sostegno. Non si tratta di mere distribuzioni di risorse, ma di interventi per finanziare la qualità dei giornalisti. La Francia ha dato 120 milioni alla France Presse. Sostenere l'editoria significa sostenere l'informazione di qualità che è un presidio democratico, riconosciuto dalla Costituzione all'articolo 21."
Come no? Non sarebbe "distribuzione di risorse". Suppongo che il panettiere di cui sopra potrebbe sostenere che un contributo alla sua categoria finanzierebbe la qualità dei panettieri e, di conseguenza, del pane da costoro prodotto.
E qualche motivo per considerare il pane un presidio democratico lo si troverebbe.
Sono anni che si sentono a cadenza regolare le stesse cose da parte degli editori di giornali. Almeno avessero un po' più di fantasia. O anche per quella serve un contributo pubblico?
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