Scorie - The (bad) conscience of a liberal (28)
"Supponiamo, per amore della discussione, che i sindacati e i sussidi di
disoccupazione stessero realmente tenendo elevati i salari, e che
sciogliere i sindacati e affamare i disoccupati avrebbe portato a una
grande riduzione dei salari. Perché questo avrebbe dovuto promuovere
l'occupazione? Non dite che è ovvio, perché il lavoro sarebbe divenuto meno
costoso e un maggior numero di persone sarebbe stato occupato. Come
evidenziò Keynes, ciò ha senso a livello individuale o per un gruppo di
lavoratori, ma non se ognuno subisce una riduzione dei salari e – come ci
si può attendere – i prezzi calano. In questo caso il prezzo relativo del
lavoro non è diminuito, per cui non vi è ragione affinché l'occupazione
aumenti."
(P. Krugman)
Questa volta Paul Krugman se la prende con Ludwig von Mises, che viene con
un certo dileggio definito "santo patrono degli austriaci". A suo dire,
durante la Grande Depressione, Mises sostanzialmente abbandonò la teoria
del ciclo economico la cui elaborazione si doveva in gran parte proprio a
lui, rifugiandosi poi nel sostenere che l'elevata disoccupazione era
causata dal mantenimento dei salari su livelli artificialmente superiori a
quelli di mercato. Joe Salerno del Mises Institute ha replicato a Krugman
in modo certamente più competente di quanto possa fare il sottoscritto; ciò
nondimeno, vorrei esprimere qualche considerazione al riguardo.
In primo luogo, l'idea che Mises abbia accantonato la teoria del ciclo
economico è dovuto alla sostanziale disinformazione di Krugman (come rileva
Salerno), che sarebbe bene prendesse la buona abitudine di documentarsi
sulle fonti originali invece che in blog scritti da persone che la pensano
come lui.
Ciò detto, che i salari siano stati tenuti artificialmente a un livello
superiore a quello di mercato durante la Grande Depressione e che ciò abbia
peggiorato la situazione è una constatazione che può fare chiunque ritenga
valida la legge della domanda e dell'offerta. Se la disoccupazione è
elevata e tende ad aumentare, è evidente che vi è un eccesso di offerta di
lavoro. Non è detto che il livello dei salari sia l'unica causa (in parte
si può anche trattare di un gap tra le competenze offerte e quelle
richieste, tipico dei momenti in cui interi settori, dopo un boom, vanno in
crisi), ma che siano una concausa mi pare innegabile.
Non starò qui a suggerire a Krugman di leggere America's Great Depression
di Murray Rothbard, perché evidentemente il barbuto premio Nobel (sic!) non
lo riterrebbe una fonte attendibile, ma è un dato di fatto che Hoover prima
e Roosevelt poi attuarono politiche interventiste volte a contrastare la
diminuzione dei salari ed è altrettanto un dato di fatto che la
disoccupazione andò aumentando.
Per Krugman (che tira in ballo niente meno che il suo punto di riferimento,
Keynes) non ha senso guardare ciò che avviene a livello micro, perché ciò
che vale a livello individuale non vale a livello aggregato. E questo
perché se calano i salari, cala la spesa per consumi, quindi calano anche i
prezzi. Per cui la disoccupazione non diminuisce.
La storia sembra avere senso, ma è la mania di ragionare solo per dati
aggregati che, pur consentendo di semplificare la spiegazione dei fenomeni
economici, finisce per mettere assieme le mele e le pere. Che sono
certamente entrambi frutti, ma non gli stessi.
Togliere i limiti artificiali ai salari (come a qualsiasi prezzo) consente
alla domanda e all'offerta di interagire e incontrarsi a un livello privo
di distorsioni esogene. Si potrà osservare una diminuzione del livello
medio, ma non è detto che tutti i salari diminuiscano allo stesso modo,
mentre alcuni potrebbero anche non diminuire affatto. Lo steso dicasi per
tutti gli altri prezzi. Purtroppo l'idea di usare indici di prezzi, tanto
cara a Irvig Fisher e da decenni totem praticamente incontestabile
nell'economia mainstream, aiuta nell'analisi di dati aggregati, ma non
giova molto all'accuratezza nella comprensione dei fenomeni economici.
Pretendere ex ante di sapere come si muoveranno tutti i prezzi in assenza
di interventi da parte dello Stato va al di là delle possibilità di un
singolo individuo o di un ristretto numero di persone (Krugman e Keynes
inclusi). Si tratta della stessa presunzione che serve per voler stabilire
a quale livello debba stare questo o quel prezzo. Ciò che indubbiamente si
può sostenere è che quando vi è un forte eccesso di offerta significa che
il prezzo è troppo elevato e che non corrisponde a quello di libero
mercato.
La soluzione keynesiana alla disoccupazione, tra l'altro, consiste nel
diminuire, tramite inflazione, i salari reali, lasciando inalterati quelli
nominali. L'idea, in pratica, è di fregare chi percepisce quei salari
(quanto meno per un certo periodo di tempo). Alla fine si vuole ottenere lo
stesso risultato, ma in modo surrettizio. E qualcuno continua ancora a
sostenere che si tratta del più grande economista del Ventesimo secolo…
disoccupazione stessero realmente tenendo elevati i salari, e che
sciogliere i sindacati e affamare i disoccupati avrebbe portato a una
grande riduzione dei salari. Perché questo avrebbe dovuto promuovere
l'occupazione? Non dite che è ovvio, perché il lavoro sarebbe divenuto meno
costoso e un maggior numero di persone sarebbe stato occupato. Come
evidenziò Keynes, ciò ha senso a livello individuale o per un gruppo di
lavoratori, ma non se ognuno subisce una riduzione dei salari e – come ci
si può attendere – i prezzi calano. In questo caso il prezzo relativo del
lavoro non è diminuito, per cui non vi è ragione affinché l'occupazione
aumenti."
(P. Krugman)
Questa volta Paul Krugman se la prende con Ludwig von Mises, che viene con
un certo dileggio definito "santo patrono degli austriaci". A suo dire,
durante la Grande Depressione, Mises sostanzialmente abbandonò la teoria
del ciclo economico la cui elaborazione si doveva in gran parte proprio a
lui, rifugiandosi poi nel sostenere che l'elevata disoccupazione era
causata dal mantenimento dei salari su livelli artificialmente superiori a
quelli di mercato. Joe Salerno del Mises Institute ha replicato a Krugman
in modo certamente più competente di quanto possa fare il sottoscritto; ciò
nondimeno, vorrei esprimere qualche considerazione al riguardo.
In primo luogo, l'idea che Mises abbia accantonato la teoria del ciclo
economico è dovuto alla sostanziale disinformazione di Krugman (come rileva
Salerno), che sarebbe bene prendesse la buona abitudine di documentarsi
sulle fonti originali invece che in blog scritti da persone che la pensano
come lui.
Ciò detto, che i salari siano stati tenuti artificialmente a un livello
superiore a quello di mercato durante la Grande Depressione e che ciò abbia
peggiorato la situazione è una constatazione che può fare chiunque ritenga
valida la legge della domanda e dell'offerta. Se la disoccupazione è
elevata e tende ad aumentare, è evidente che vi è un eccesso di offerta di
lavoro. Non è detto che il livello dei salari sia l'unica causa (in parte
si può anche trattare di un gap tra le competenze offerte e quelle
richieste, tipico dei momenti in cui interi settori, dopo un boom, vanno in
crisi), ma che siano una concausa mi pare innegabile.
Non starò qui a suggerire a Krugman di leggere America's Great Depression
di Murray Rothbard, perché evidentemente il barbuto premio Nobel (sic!) non
lo riterrebbe una fonte attendibile, ma è un dato di fatto che Hoover prima
e Roosevelt poi attuarono politiche interventiste volte a contrastare la
diminuzione dei salari ed è altrettanto un dato di fatto che la
disoccupazione andò aumentando.
Per Krugman (che tira in ballo niente meno che il suo punto di riferimento,
Keynes) non ha senso guardare ciò che avviene a livello micro, perché ciò
che vale a livello individuale non vale a livello aggregato. E questo
perché se calano i salari, cala la spesa per consumi, quindi calano anche i
prezzi. Per cui la disoccupazione non diminuisce.
La storia sembra avere senso, ma è la mania di ragionare solo per dati
aggregati che, pur consentendo di semplificare la spiegazione dei fenomeni
economici, finisce per mettere assieme le mele e le pere. Che sono
certamente entrambi frutti, ma non gli stessi.
Togliere i limiti artificiali ai salari (come a qualsiasi prezzo) consente
alla domanda e all'offerta di interagire e incontrarsi a un livello privo
di distorsioni esogene. Si potrà osservare una diminuzione del livello
medio, ma non è detto che tutti i salari diminuiscano allo stesso modo,
mentre alcuni potrebbero anche non diminuire affatto. Lo steso dicasi per
tutti gli altri prezzi. Purtroppo l'idea di usare indici di prezzi, tanto
cara a Irvig Fisher e da decenni totem praticamente incontestabile
nell'economia mainstream, aiuta nell'analisi di dati aggregati, ma non
giova molto all'accuratezza nella comprensione dei fenomeni economici.
Pretendere ex ante di sapere come si muoveranno tutti i prezzi in assenza
di interventi da parte dello Stato va al di là delle possibilità di un
singolo individuo o di un ristretto numero di persone (Krugman e Keynes
inclusi). Si tratta della stessa presunzione che serve per voler stabilire
a quale livello debba stare questo o quel prezzo. Ciò che indubbiamente si
può sostenere è che quando vi è un forte eccesso di offerta significa che
il prezzo è troppo elevato e che non corrisponde a quello di libero
mercato.
La soluzione keynesiana alla disoccupazione, tra l'altro, consiste nel
diminuire, tramite inflazione, i salari reali, lasciando inalterati quelli
nominali. L'idea, in pratica, è di fregare chi percepisce quei salari
(quanto meno per un certo periodo di tempo). Alla fine si vuole ottenere lo
stesso risultato, ma in modo surrettizio. E qualcuno continua ancora a
sostenere che si tratta del più grande economista del Ventesimo secolo…
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